Oggi, solennità di Pentecoste, è il giorno dello Spirito Santo. È il giorno della Chiesa. Definire lo Spirito Santo è estremamente difficile, per non dire impossibile. In passato c’è chi ha parlato di “Dio ignoto”, di “divino sconosciuto”, anche perché, a differenza del Padre e del Figlio, non ha né un nome personale né un volto. Negli Atti degli Apostoli i discepoli di Efeso dicono a Paolo: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo” (At 19,2).
Forse anche oggi non pochi cristiani risponderebbero allo stesso modo, se li si interrogasse sulla terza persona della Trinità.
Per fare l’identikit dello Spirito Santo, ritorniamo al “segno di croce” che abbiamo fatto all’inizio della Messa, soffermandoci su colui “che è Signore e dà la vita”, e riguardo al quale, come diceva il teologo Karl Barth, è “impossibile parlare ma anche impossibile tacere”.
Nel “segno di croce” è infatti racchiuso un motivo ben più profondo. Lo Spirito viene a noi dalla croce, dove Gesù “consegnò lo Spirito”. Lo Spirito è mandato dal Signore al mondo intero: non è un dono di Dio, ma Dio che si fa Dono.
La parola spirito, in ebraico, vuol dire respiro, soffio, vento; e il vento è tra le cose più misteriose perché è libero e imprevedibile: “non sai di dove viene e dove va”, come ricordava Gesù a Nicodemo (Gv 3,8). E il giorno di Pentecoste, come abbiamo sentito dalla prima lettura, “venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo”. C’è qualcosa di improvviso e di forte, che scuote e fa tremare: è lo Spirito, libero come il vento e creatore di libertà.
Nel cenacolo c’era gente piena di paura e preoccupata. Passa lo Spirito e le stesse persone diventano libere e coraggiose. Che cosa potrebbe succedere oggi se si verificasse tra noi una vera Pentecoste? Anche noi, purtroppo, siamo dominati da tante paure. È la paura che ci chiude a doppia mandata dentro i cenacoli delle nostre sicurezze, preoccupati di salvare ciò che abbiamo. Un poeta, Julien Gracq, scrive: “Bisogna sapere a ogni costo far sorgere una vela sul vuoto del mare”. Il vuoto del mare rappresenta i nostri limiti che potrebbero inghiottire la piccola barca sulla quale ci troviamo. Ma basta che una vela si lasci investire dal soffio dello Spirito per iniziare un’avventura appassionante, dimenticando il vuoto che prima paralizzava ogni nostro movimento.
È la libertà dello Spirito, per cui si è liberati da tutte le paure, anche dalla paura della morte. Posso essere mortificato, ma sono libero. Incompreso, ma sono libero. Posso vedere che a trionfare sono sempre i più furbi e i più spregiudicati, ma io sono libero di andare avanti e di dire da che parte sta il nostro Dio. Una volta liberati da ogni paura, si è pronti a ricevere il battesimo di una vita nuova, quella di cui torna a parlarci il racconto degli Atti: “Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro”. Possiamo camminare secondo lo Spirito.
Dopo il vento che riempie tutta la casa, ecco il fuoco per indicare che lo Spirito è fuoco d’amore. È lui che ci fa innamorare di Cristo e del suo vangelo.
Vogliamo sapere se viviamo dello Spirito di Pentecoste?
Proviamo a domandarci qual è il nostro rapporto con la parola di Dio proclamata nelle nostre assemblee: quale accoglienza trova questa Parola in noi, quale stupore ci comunica? Non dimentichiamo che c’è il rischio di ridurre la fede a un sapere astratto e inefficace, che non ha nessun rapporto con il fuoco della Pentecoste. Si può perfino essere biblisti e teologi, senza essere veri credenti. A che serve infatti una fede vissuta senza stupore e senza slancio, se si pensa che l’incontro con Cristo immerge in un vortice di luce e di amore? Come possiamo rispondere alla fame di assoluto dei giovani se il cristianesimo per noi è solo un sistema di verità religiose e non una presenza viva, quella di Cristo, che ci scuote, ci conquista, ci ferisce e ci salva?
A partire da questa esperienza viva di Cristo si è pronti, come hanno fatto i discepoli, a comunicare a tutti la pace, il perdono, la speranza che il Cristo ci ha trasmesso. Non sappiamo come i discepoli abbiano potuto farsi capire, sappiamo però che la Pentecoste è un evento di dialogo, di conciliazione, di condivisione. Tutti intendono le parole di Pietro perché chi vive d’amore è accolto e compreso da tutti.
Allora, ci domandiamo: è Pentecoste oggi anche per noi oppure si tratta di un sogno svanito per le tragedie della storia e per i comportamenti di noi che ci diciamo cristiani? Infatti Pentecoste è unità, ma noi coltiviamo divisioni. Pentecoste è universalità, è noi coltiviamo particolarismi ed esclusioni. Pentecoste è perdono, e noi coltiviamo l’accanimento contro gli avversari.
Ma lo Spirito non si stanca di riaccendere in noi la passione della riconciliazione e della pace.
“Il mondo intero geme nelle doglie del parto”, scrive San Paolo (Rm 8, 22).
Potremmo definire lo Spirito come “il grande ostetrico” di questa incessante nascita di una umanità nuova, finalmente pacificata e riconciliata.
In un libro dal titolo “I detti delle madri del deserto” ho letto questo aforisma: “Il fuoco non si infiamma nel legno umido, lo Spirito Santo non abita nell’anima che ama la comodità”.
Come dire che il fuoco dello Spirito non può accendersi in chi vive nelle comodità. C’è una sazietà, ai nostri giorni, che impedisce di aver fame di valori più alti, a partire da quelli del silenzio, della preghiera, del distacco e della sobrietà.
Solo un po’ di digiuno dalle cose e di pienezza dello Spirito potrà quindi trasfigurare chi è appesantito dalle comodità e dalle vanità della vita, rendendolo interiormente libero.
Ognuno di noi infatti, in quanto nato dallo Spirito, dovrebbe essere libero come il vento di cui ho parlato all’inizio, che “soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Gv 3,8).