La festa di oggi è il punto d'arrivo del percorso dell'anno liturgico, e la cosa non è così intuitiva: sarebbe più facile pensare che il punto d'arrivo sia la Resurrezione, la vittoria definitiva del Padre contro il peccato e la sua arma preferita che è la morte. Certo che è così, ma la vittoria più difficile (sì, anche per il Signore ci sono vittorie difficili) si combatte dentro il cuore dell'uomo: riuscire a fare entrare anche lì la luce della resurrezione.
La festa di oggi è il punto di arrivo perché ci mette davanti cosa si intende per resurrezione quando è accolta nella nostra carne, nell'ordinario.
Il concetto chiave è detto nella colletta: servire è regnare.
Sotto questa luce possiamo guardare la resurrezione: perché Gesù è dovuto passare per tutto quello che ha vissuto dall'Incarnazione fino alla croce? Perché doveva guarire ancora la ferita che ci portiamo dentro dal peccato originale in poi: noi viviamo una rottura con Dio, con gli altri e con noi stessi. Quella ferita ci è stata inferta dove noi avevamo la possibilità di guardare, con amore e tenerezza, le nostre ferite, il risultato è che non siamo più riusciti a credere che Qualcuno potesse amarci gratis veramente, tantomeno gli altri. La nostra vita è tutta una costruzione in difesa da ciò che sta fuori di noi, compreso Dio che chi ci vuole bene.
La missione di Gesù è guarirci, Egli è sceso dal cielo per servirci, per prendersi cura di noi. Come nell'ultima cena quando Gesù sa che tutto è stato posto nelle sue mani, che si avvicinava il momento del ritorno al Padre, ha lasciato un segno che spiegasse tutto: si spoglia del suo mantello (segno di regalità) e lava i piedi dei 12 come un servo qualunque. Il potere di Gesù sta nel suo amore sconfinato che lo rende libero da ogni vaga idea di amor proprio e, nella perfetta libertà, gli fa vivere la sua vita per noi. Il vangelo oggi declina tutto questo nell'inizio del processo di Gesù così come lo racconta Giovanni (il più ricco di dettagli): Gesù viene presentato legato in catene come il più pericoloso degli assassini e con un'accusa improbabile ("se non fosse colpevole non te l'avremmo presentato"). Pilato è la prima volta che lo vede e gli viene da dentro l'esclamazione: tu sei un re? Non è ironica la domanda, è come uno che sta cercando di raccapezzarsi in quel macello che sta vivendo, tanto è vero che ci tornerà sopra in seguito, come un vero interrogatorio. Ma cosa ha spinto Pilato a fare questa domanda? Quello che ha visto!
Oltre le catene e i segni del primo interrogatorio (lo schiaffo della guardia ha una menzione speciale, ma era solo la punta dell'iceberg) lo sguardo, la postura, la dignità di quest'uomo gli fa dire che è un re: un re strano ma re. Pilato è capace di riconoscere l'autorità, chi detiene realmente il potere e da questo riconoscimento, da questa intuizione si parte con il processo. Chi è Gesù realmente? Lui dirà di sé che è venuto per rendere testimonianza alla verità, e tutti quelli che cercano la verità o vivono per essa, lo riconoscono e lo seguono. La verità, allora, è evidente che sia la l'identità di Dio: in Gesù si svela l'amore sconfinato del Padre che si prende cura di noi, fino a subire il nostro rifiuto e, nonostante tutto, a non abbandonarci: il Suo amore vince la cattiveria, la grettezza e, in definitiva, la morte. Servire è regnare perché è partecipare all'azione del Padre che continuamente ci ama di un amore completo, esagerato e fedele. Gesù è nostro re perché lo riconosciamo uomo come noi e vero Dio proveniente dall'abbraccio del Padre nello Spirito Santo, capace di un amore infinito che sconfigge la menzogna che ci portiamo dentro dall'inizio, quella del serpente che a Eva che Dio non poteva realmente amare gli uomini perché in definitiva non sono amabili. Dall'alto della croce Gesù toglierà ogni dubbio su quanto sia disposto ad amarci e perdonarci, perché siamo preziosi ai suoi occhi.
Il potere che nella prima lettura Ezechiele vede, come in visione, dato al Figlio dell'uomo è una profezia che si compie nel potere che il Padre dà al Figlio (cfr. Mt 28,18) con la resurrezione, è la potenza dell'amore risorto del Figlio. Quello stesso potere che nell'apocalisse si manifesta nel fare di noi un regno di sacerdoti: significa avere lo stesso cuore del Figlio che è sempre rivolto verso il Padre (Gv 1,18) nella lode e nell'offerta di sé.
Questa è la regalità riconosciuta di Gesù.
Allora questa festa è vera per noi se ci riconosciamo in quel prigioniero che, pur stando in catene, è il più libero di tutti, perché libero dall'egoismo e dalla paura; schiacciato dall'ingranaggio del potere umano e invece è l'unico detentore del potere, quello vero: la capacità di dare la vita fino a perderla del tutto per poi riaverla di nuovo.
Il nostro modo di capire il potere si basa sulla capacità di togliere la vita agli altri: più uno è potente e più può togliere vita; qui il vero potere è l'amore che dà vita e non ha paura di passare per la morte perché la vince, l'ha già vinta una volta per sempre.
Ma Gesù nel vangelo parla anche di servitori pronti a combattere per Lui: quelli sono i discepoli che hanno ingaggiato una guerra senza esclusione di colpi con il proprio orgoglio e la propria durezza di cuore.
In altre parole sei suo discepolo, e per te oggi è festa vera, se consideri la tua vita non come il bene da preservare il più a lungo possibile e magari senza noie, ma come un pane da spezzare per sfamare gli altri; se hai già sperimentato che veramente c'è più gioia nel dare che nel ricevere, se per te è più forte chi ama di più, chi ama gratis, allora non sei lontano dal regno dei cieli.
Chissà come funzionerebbe la mia famiglia se pensassi così più di soli 5 minuti al giorno?
O come sarebbe la nostra città se invece di lamentarmi solamente per poi pensare solo al mio interesse, mi mettessi seriamente a disposizione per far migliore questa mattonella di mondo che mi è stata affidata …
O come pensare da veri servitori di un Regno di pace e di libertà il mio abitare il mondo dei social non più come il luogo dove riversare indignazioni a basso costo o malesseri?
Entrare nel sogno di Dio significa poter vedere il mondo come lo vede Lui: beati i puri di cuore perché vedranno Dio dice la 6° beatitudine. Questo significherebbe che la frase che diciamo a messa si compie realmente: io di do la mia pace, non quella del mondo ma la mia.
Buona festa.