COMMENTO ALLE LETTURE

Liturgia della parola della prima messa: Gb 19,1.23-27; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

L’esperienza della morte segna in profondità le persone di tutte le culture e di tutti i tempi. Addirittura, si fa risalire la nascita della “civiltà” nel mondo ai primi segni di un “culto dei morti”, che riflettono la cura degli esseri umani per i loro simili che sono morti. Il nucleo della fede cristiana è risurrezione di Cristo dopo la sua morte in croce. La risurrezione in cui crediamo è risurrezione di un uomo veramente e tragicamente morto; nella vita di Gesù la morte non è la realtà definitiva, egli l’ha affrontata con la speranza in Dio più forte della morte.

Al centro della nostra preghiera (e liturgie) di cristiani c’è il grido di Maria Maddalena la mattina del primo giorno dopo il sabato: “ho visto il Signore”. È questo il mistero gioioso che celebriamo nell’Eucaristia, nella quale rivolgiamo al Signore le nostre preghiere per chi è in cammino su questa terra e anche per chi ha già attraversato l’ultimo passaggio, quello della morte. Così vale in modo particolare per la preghiera dei funerali e per il giorno in cui commemoriamo tutti i defunti.

La speranza gridata

Giobbe sente la sua vita ormai vicina alla morte. Mentre gli amici lo esortano a riconoscere il suo peccato e chiedere perdono a Dio, egli fa un’altra coraggiosa lettura. Riconosce che Dio lo sta colpendo ma continua tenacemente a affermare la sua fiducia in Lui, perché crede che Egli non segue la logica manifestata dai suoi amici (hai peccato e ti punisco). Giobbe spera in un Dio che lo “riscatterà” dalla sua condizione di sofferenza, anche se ciò dovesse avvenire dopo la sua morte, che sembra prossima. Giobbe chiede che queste parole siano scritte sulla roccia, come per rendere incancellabile la fiducia, anche nei momenti di disperazione. Giobbe protesta contro Dio e al tempo stesso ha fiducia che lo riscatterà, gli darà vita. Forse ci possiamo riconoscere in lui: anche noi sperimentiamo di essere limitati ma continuiamo a nutrire un desiderio infinito di vita, che affidiamo a Dio.

La speranza scritta e cantata

Qualcuno ha ascoltato il desiderio di Giobbe e ha messo per scritto parole di fiducia in Dio Salvatore in situazione di pericolo di vita. Ecco il salmo 26, che esprime una forte fiducia in Dio e la supplica di aiuto contro i nemici. Il salmista si dirige a Dio esprimendo angoscia e fede: è vera una fede non provata nel pericolo di vita? È sopportabile un’angoscia che non si abbandona alla fede in un Dio che salva?

La speranza provata

Ciò che Giobbe chiedeva di scrivere sulla roccia, Gesù Cristo lo ha scritto per sempre sulla croce, la prova che Dio è dalla parte dell’uomo, e dell’uomo che soffre e muore. Paolo, nel passo della lettera ai Romani, trova il fondamento della speranza cristiana nel fatto che Dio salva l’uomo intero, con tutta la sua vita. Gesù Cristo ci ha riconciliati con Dio, e Dio ci guarda con occhi di benevolenza. La morte non nega l’amore di Dio per noi, come non ha separato per sempre Gesù da Dio. Certo, la fede in Gesù non riempie magicamente il vuoto della morte, non risponde alle nostre domande sulla morte. Ma ci dice che la speranza non è vuota: credere in Dio significa confidare che la nostra vita è nelle mani di Dio, perché ci ama, senza che ci sforziamo di piacere a lui.

La fonte della speranza

Nel dialogo con i giudei Gesù rivela il suo potere di dare la vita in pienezza. E ricorda la condizione necessaria per ricever questa vita: credere in Lui, il Figlio di Dio. Il centro della missione di Gesù è proprio donare la vita di Dio a coloro che si riconoscono suoi figli. La nostra speranza sta nell’appartenere a Cristo, vita piena. Senza distinguere tra vita terrena e ultraterrena, Gesù parla della vita di Dio, che comincia ora e continuerà fino alla risurrezione. Una vita che la morte non interrompe, come è avvenuto per Gesù.

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