COMMENTO ALLE LETTURE

Pregare il Padre, avere fiducia nel Padre

Nella vita impariamo non soltanto ascoltando spiegazioni o leggendo bei libri, ma anche guardando le persone, soprattutto quello che amiamo, che per noi hanno valore, mentre fanno concretamente e tranquillamente le loro cose, quello che – venendo dal cuore – si esprime in gesti, sguardi, parole, e subito attira, non ha bisogno di spiegazioni. Se ci pensiamo bene, sono queste le “lezioni” che più hanno segnato la nostra vita. Leggendo i vangeli notiamo che la vita dei discepoli con Gesù era fatta soprattutto di esperienze così. Come quel giorno in cui, dopo aver visto Gesù raccolto in preghiera ed essere stati colpiti da quel suo modo di raccogliersi e parlare con Dio, gli hanno chiesto: insegna anche a noi a pregare.

La vita di Gesù, in modo particolare nel modo come Luca ce la racconta, è intessuta di preghiera. Essa si intensifica mentre Gesù cammina verso a Gerusalemme, perché sa che là lo aspetta una missione non facile, che viene dal Padre, e si fa sempre più necessario stare in comunione con Lui per compiere la sua volontà.

I discepoli capiscono che non possono seguire il cammino del maestro senza condividere almeno un po’ la sua esperienza di preghiera. E quando gli chiedono di introdurli, lui insegna la preghiera che tutti conosciamo e recitiamo spesso. Essa è formata da una invocazione iniziale e cinque richieste. Padre: non è solo la prima parola della preghiera, ma anche la base di tutto quello che segue. Per Gesù pregare significa chiamare Dio con la parola che usiamo per chiamare colui dal quale abbiamo ricevuto la vita. La Bibbia usa spesso il titolo di Padre per indicare Dio, ma non era comune usarlo per dirigersi a lui nella preghiera, nel dialogo diretto. Si usavano più spesso nomi che sottolineavano la santità e la differenza tra Dio e l’umanità (Signore, Santo, Benedetto, Altissimo). Per insegnare a pregare, Gesù parte dalla sua esperienza personale e unica di Dio, del quale si sente profondamente figlio amato.

Chiamare Dio con il nome di Padre significa imparare a sentirsi figli amati, a riconoscerlo come Colui che ci ha generato e ci dona tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. “Padre” è il gemito profondo e intimo della nostra fede. Gesù insegna cosa chiedere al Padre, che vede essere ciò che Egli stesso chiedeva. Sia santificato il tuo nome: cioè, aiutaci a riconoscerti per quello che sei e vivere di conseguenza. Venga il tuo regno: che il tuo modo di vedere la vita e il mondo si realizzi anche con la nostra vita. E poi ancora: che non ci lasci mancare il necessario per ogni nostra giornata, che ci perdoni i peccati, come ma anche più di come noi perdoniamo agli altri; che nel tempo della prova non ci lasci soli.

Gesù commenta queste parole della preghiera con la storia di un tale che importuna un amico a mezza notte finché ottiene quello di cui ha bisogno e conclude con una esortazione insistente: chiedete, cercate, bussate, fondandola sull’esperienza umana per cui si ottiene qualcosa solo se la si chiede e ricerca con insistenza. E per approfondire il suo insegnamento ricorre ancora una volta all’esperienza umana, rivolgendo due domande ai suoi discepoli che hanno dei figli: non date forse ai vostri figli ciò che permette loro di vivere? Ecco: Dio è padre come voi, anzi, ancor più di voi, e dà ai suoi figli il dono più grande di tutti, lo Spirito Santo, cioè il suo amore che ci fa sentire e vivere come suoi figli. Gesù si appoggia sull’esperienza umana della paternità per esortarci ad avere fiducia in Dio che è padre.

Gesù non ci dà formule per la preghiera, ci insegna piuttosto il cammino della fede: sentirci figli, amati, parte della famiglia di Dio. Quando siamo in famiglia, il chiedere non è esigere, e se non si ottiene quello che si desidera, non per questo si esce di casa. Così Gesù ci insegna che credere in Dio è vivere una relazione di amore, non di convenienza. Nella fede la cosa più importante non è chiedere e ricevere qualcosa. Avere fede è semplicemente credere che Dio è Padre, chiamarlo, sentirlo presente, come il bambino che dice papà, mamma, senza aggiungere niente. Nel passaggio della lettera ai Colossesi Paolo ci ricorda l’essenza della vita cristiana: senza che noi lo chiedessimo, Dio ci ha dato tutto, ci ha fatti passare dalla morte alla vita. Le nostre “richieste” vengono sempre dopo, e sono sempre radicate nella coscienza di essere figli riscattati dalla morte, che hanno ricevuto una vita piena e gratuita.

La preghiera sta al cuore della fede, ne è come il respiro. È un respiro di amore, perché chi ama, spontaneamente dialoga con la persona amata, si fa conoscere per quello che è; chi ama non teme di chiedere e non fa dipendere il suo amore da quello che riceve. È questa l’esperienza che siamo invitati a vivere ogni volta che recitiamo il “Padre Nostro”.

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