COMMENTO ALLE LETTURE

Ogni Domenica, a Messa, diciamo insieme il Credo, chiamato anche professione di fede o simbolo.

Si chiama simbolo perché questa parola, in Greco significa “mettere insieme” (è il contrario di diabolo, che significa “mettere separazione”): in esso sono unite insieme le verità fondamentali della nostra fede.

Forse abbiamo avuto modo di osservare che, in questa lunga professione di fede, si dicono solo due cose del Padre (che è Onnipotente e creatore del cielo e della terra) e tre cose dello Spirito (che è Signore datore di vita, che procede dal Padre e dal Figlio, che con Loro è adorato e glorificato), mentre se ne dicono ben diciannove (!) del Figlio.

In pratica, sul foglietto della Messa, due righe sono dedicate al Padre, due allo Spirito e una dozzina a Gesù.

Il motivo credo sia chiaro a tutti: il Padre non si è incarnato e nemmeno lo Spirito Santo.

L’unica delle tre Persone che è scesa sulla terra e si è fatta uomo è la seconda persona della Trinità, cioè il Figlio, Gesù Cristo.

Questo ha fatto sì che, durante questi duemila anni di cristianesimo, la maggior parte delle eresie, nate nel seno della chiesa abbiano riguardato il Figlio. Non tutti riuscivano ad accettare che fosse Dio al 100% e uomo al 100% e hanno proposto teorie di tutti i generi (tutte sbagliate, alcune bizzarre e strampalate) circa la presenza in lui dell’umanità e della divinità.

Questo mistero, che abbiamo appena celebrato a Natale, porta in sé qualcosa di grandioso e inimmaginabile per la mente umana. È per questo che nel Credo, la maggior parte delle parole che diciamo riguardano il Figlio: Egli è l’unico dei Tre ad avere due nature (una umana e una divina), ad aver condiviso la nostra condizione umana in tutto, eccetto il peccato.

La professione di fede sottolinea i misteri riguardanti la nostra fede nella vera divinità e umanità di Cristo.

 

Il mistero di Cristo è stato prefigurato in vari modi nell’Antico Testamento: intravisto dai profeti, preannunciato da alcuni segni, prefigurato in figure, personaggi ed eventi.

Per esempio, nel Credo, diciamo che Gesù è nato dal Padre “prima di tutti i secoli”, e nella prima lettura di oggi (dal libro del Siracide) la Sapienza (una delle prefigurazioni di Cristo nell’Antico Testamento) dice di essere uscita da Dio “prima dei secoli, fin dal principio”.

Noi, riferendoci ancora a Cristo, diciamo nel Credo: “e il suo regno non avrà fine”, e Siracide 24 conferma “per tutti i secoli non verrò meno”.

Sempre la prima lettura ci ha ricordato come Dio diede un ordine alla Sapienza: “fissa la tenda in Giacobbe”; e questo ci fa tornare alla mente le parole del prologo di Giovanni, che abbiamo ascoltato oggi nel Vangelo: “Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 3,14), dove l’espressione “venne ad abitare” è resa in Greco con “eskénosen”, una parola che ricorda la “shekinà”, cioè la tenda in cui Dio abitava nell’Antico Testamento. “Il Verbo fissò la sua tenda in mezzo a noi”.

La Sapienza “nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca”, cioè Gesù parla nell’assemblea dell’Altissimo che siamo noi, riuniti oggi per la Messa; “nella moltitudine degli eletti trova la sua lode” cioè Gesù è lodato da noi oggi nel Salmo, quando diciamo “Loda, Sion, il tuo Dio”.

Questa prima lettura ci insegna ad essere ottimisti; il Padre ha detto a Gesù: “Affonda le radici tra i mieli eletti… nella città amata… in mezzo a un popolo glorioso”.

Potremmo chiederci oggi: sono davvero convinto di essere una persona eletta, amata, gloriosa?

Se ci sforziamo di guardarci con lo sguardo di Dio, il nostro orizzonte si apre alla speranza e al conforto.

L’arcivescovo Desmond Tutu, Nobel per la pace nel 1984, morto Domenica scorsa, era famoso per alcune sue frasi, davvero illuminanti. Ne citiamo una, che sintetizza il senso di speranza che dobbiamo coltivare in noi, dopo aver ascoltato la Parola: “Dio non può che sorridere perché è l’unico che sa cosa sta per accadere”.

 

Sempre Desmond Tutu, in un momento buio della storia del Sudafrica, aveva avuto il coraggio di dire: “La speranza è la capacità di vedere la luce nonostante le tenebre”.

E S. Paolo, oggi ci ha ricordato: “Dio Padre illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi”.

Noi possiamo avere speranza se abbiamo fede. Se crediamo davvero che “Dio ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo; in lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato” è impossibile essere pessimisti.

Lo diciamo alla fine di un anno che è stato abbastanza complicato e all’inizio di un altro che non si preannuncia troppo facile.

Dobbiamo cercare di essere fedeli nella preghiera, per attingere in essa la forza che viene da Dio e la speranza.

Papa Francesco ci ricorda: “La preghiera è la prima forza della speranza. Tu preghi e la speranza cresce, va avanti. Io direi che la preghiera apre la porta alla speranza. La speranza c’è, ma con la mia preghiera le apro la porta” (udienza del 19.05.2020).

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