COMMENTO ALLE LETTURE

Quando muore una persona che amiamo, ci sentiamo impotenti.
Nasce in noi la domanda: «E adesso? Cosa possa fare per lei?».
I fiori al funerale, come anche le dignità della liturgia funebre, l’incenso, l’acqua benedetta, una dedica letta alla fine della Messa ci sembrano tutti regali che possiamo fare al defunto.
Anche il dichiarare che cercheremo di tenere viva tra noi la sua memoria e ne imiteremo gli esempi può sembrarci un dono, un segno di riconoscenza.
Ma c’è una cosa che spesso dimentichiamo: il regalo più bello che possiamo fare a una persona defunta è pregare per lei.
Se chi muore potesse parlare, durante la celebrazione del funerale, ci direbbe: «Pregate per me. Celebrate delle Messe per me. Non dimenticatevi di me nelle vostre preghiere».

È questo lo spirito autentico che anima la celebrazione del 2 novembre, commemorazione di tutti i fedeli defunti: la comunione dei santi. Si tratta di quel legame d’amore che fa sì che noi, su questa terra, possiamo fare un regalo, il più prezioso di tutti, alle persone che non sono più tra noi fisicamente, in questo mondo. Esse, a loro volta, quando giungeranno in paradiso, pregheranno per noi e ci otterranno grazie e benedizioni.

La prima lettura, dal libro di Giobbe, pur essendo tratta dall’Antico Testamento, contiene una professione di fede molto forte e piena di fede: «Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso!».
Tenendo conto che nell’Antico Testamento la dottrina della risurrezione dei morti non è ancora abbozzata, ma solo intravista in filigrana in modo molto vago, queste parole, così esplicite, toccano il nostro cuore. Gli ebrei credevano che dopo la morte le anime scendessero nello Sheol, il regno dei morti, situato nel cuore della terra. La loro situazione non era particolarmente felice e mai si pensava che avrebbero potuto vedere Dio. Eppure Giobbe professa con fermezza la sua fede.

La pelle non ci sarà più – dice Giobbe -, non avremo più addosso questa carne mortale, che ci fa soffrire, si ammala, si corrompe, ci causa tante sofferenze e ansie.

È importante oggi dire chiaramente che la morte non è la fine della vita. Quando una persona muore finisce solamente la sua vita sulla terra. La vita non viene tolta, ma trasformata: inizia una nuova fase, nel cielo, in comunione con Dio.

Questa è la fede bimillenaria della Chiesa, che ci porta oggi a pregare per i defunti, affinché possano raggiungere il traguardo del paradiso, una volta purificati dai peccati commessi a causa della fragilità della condizione umana. Ma questa fede serve anche a noi, per consolarci e donarci forza e speranza, camminando nella fede, verso il premio nei cieli.

 

S. Paolo, nella seconda lettura ci dice: «La speranza non delude».

La speranza, che abbiamo tutti ricevuto in dono con il battesimo, consiste, come ci dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, nella virtù teologale «per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità, riponendo la nostra fiducia nelle promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull'aiuto della grazia dello Spirito Santo» (CCC, 1817).

È importante sottolineare il fatto che non ci dobbiamo appoggiare sulle nostre forze, mediante una specie di volontarismo sbagliato. Noi facciamo del nostro meglio per osservare i comandamenti di Gesù, ma sappiamo che solo Dio ci può dare in dono la vita eterna.

Paolo dice che «quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi». Sono importanti queste due parole: deboli e empi. Non dice che siamo forti e santi. C’è chiaro, nella Parola di Dio, il richiamo a riconoscere la nostra fragilità e ad abbandonarci alla misericordia divina.

L’amore di Dio non è eros (ti amo per essere ricambiato), ma agape (ti amo anche se tu uccidi mio Figlio). Questa gratuità dell’amore divino è ribadita fortemente nella lettera ai Romani: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi». Dio non ha aspettato che diventassimo santi, per mandare il suo Figlio tra noi. Lo ha mandato mentre eravamo ancora peccatori. In questo si riconosce l’agape divina, cioè l’amore incondizionato (senza condizioni) del Padre.

Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo. Questo messaggio di speranza ci dona conforto e consolazione e ci permette di rivolgerci a Dio come figli, consapevoli della nostra debolezza, ma fiduciosi nell’amore divino. Questa fiducia spinge milioni di cristiani, oggi, ad elevare preghiere e suppliche per il riposo eterno dei loro cari.

Il sacramento che attualizza e rende presenti tra noi gli effetti benefici e redentivi della morte e risurrezione di Cristo è l’Eucaristia: è in questo giorno che – in via straordinaria – è concessa ai sacerdoti la facoltà di celebrare tre Messe per i defunti.

I fedeli, meglio se riconciliati con Dio nel sacramento della Confessione, possono accostarsi all’Eucaristia, nella Santa Comunione, ed offrire il Corpo e Sangue di Cristo al Padre, in suffragio per i loro cari che li hanno lasciati.

Si realizzano così le parole della seconda lettura: «Ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui».

Il Vangelo contiene un annuncio molto forte di salvezza e di gioia: «Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno».

Sono parole che ogni cristiano dovrebbe imparare a memoria.

Esse ci riportano alla memoria quel versetto che è considerato il più importante della Bibbia, Giovanni 3, 16: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».

Gesù ci fa una promessa oggi: «Colui che viene a me, io non lo caccerò fuori».

Possiamo bussare con fede alla porta del Cuore di Cristo, sia per i nostri defunti che per noi stessi.

Si potrebbero citare qui le parole di un canto molto conosciuto:

«Quando busserò alla tua porta, avrò fatto tanta strada, avrò piedi stanchi e nudi, avrò mani bianche e pure. Quando busserò alla tua porta, avrò frutti da portare, avrò ceste di dolore, avrò grappoli d’amore. Quando busserò alla tua porta, avrò amato tanta gente avrò amici da ritrovare e nemici per cui pregare, o mio Signore!».

Busseremo alla porta con parecchie cicatrici, ferite, contusioni. Sono le conseguenze delle cadute e anche del male ricevuto. Ma Gesù ci rassicura: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato».

E qual è la volontà di Colui che ha mandato Gesù in questo mondo?

«Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Preghiamo il Signore che ravvivi in noi, mediante il suo Spirito, la coscienza del nostro peccato, ma soprattutto della sua infinita misericordia, cosicché possiamo pregare oggi con cuore libero e pieno di speranza, chiedendo per noi stessi e per coloro che ci hanno lasciato, e non sono più in questo mondo, il dono della vita eterna.

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