COMMENTO ALLE LETTURE

Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due…
Una delle malattie del nostro tempo è l’individualismo.
Si tratta di una malattia di cui sembrano soffrire anche i cristiani, visto che la fede di molti non è sentita come responsabilità, ma semplicemente come un aiuto per risolvere i problemi personali, quelli riguardanti il presente e quelli, semmai, riguardanti la vita dopo la morte. Piuttosto che missionari, come i dodici, sarebbe più giusto parlare di dimissionari!
È importante perciò ascoltare la liturgia della Parola di oggi, soprattutto il vangelo, per capire qual è l’indicazione che ci dà il Signore. E perché non pensiamo che la missione sia riservata a pochi, lasciamoci illuminare da san Paolo che ci dice che ciascuno di noi, già prima della creazione del mondo, è stato pensato, amato e scelto da Dio in vista di un progetto da realizzare.
Oggi vi sono molti, giovani ma anche adulti, che pensano che la vita è senza senso e senza scopo; e ci sono anche molti – che si dicono credenti – che soffrono di una mancanza di progettualità.
Se qualcuno facesse osservare che c’è un compito da vivere, come quello che è stato affidato ai Dodici, sarebbero pronti ad obiettare: “Come è possibile, se manca una preparazione specifica?” Anche Amos si voleva difendere così. Come sarebbe potuto diventare profeta, lui che era un semplice pastore e si trovava bene e tranquillo in compagnia delle sue bestie?

Insomma, c’è una grande tentazione di un cristianesimo comodo, che vede il mondo dalla finestra o – peggio ancora – guarda uno schermo dal divano, pensando che la missione appartenga ad altri. Ricordiamo cosa ha scritto papa Francesco: Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze (EV 49).
Oggi invece siamo chiamati a ripartire da una certezza: “Se sono cristiano non posso che essere missionario. Dio vuole servirsi di uno come me”.

Siamo chiamati ad uscire… e ad uscire insieme, a due a due.
Mi piace immaginare il modo con cui Gesù abbia “abbinato” i suoi apostoli. Avrà messo insieme coloro che erano già amici o addirittura fratelli? Avrà fatto scegliere loro di formare le coppie? Ci sarà stata una estrazione? O avrà messo insieme gli opposti?
Gesù sapeva che – al di là dei segni e delle parole che avrebbero compiuto e detto – il primo annuncio missionario sarebbe stato proprio l’essere in comunione, anche solo in due. Sappiamo bene come è difficile, anche in comunità, collaborare, a volte anche tra sacerdoti o religiose. Sarà sempre difficile se mettiamo l’io al centro, se crediamo di aver capito tutto da soli o che solo noi siamo capaci di tutto; finchè non comprendiamo che il centro è Gesù Cristo ed è Lui il motivo di unità, di comunione, anche se siamo persone diverse.
I Dodici partono dunque – “sei coppie da due” – forti solo di un amico e di una Parola.
Solo un bastone a sorreggere il cammino nella stanchezza, e un amico a sorreggere il cuore nella solitudine. Solo Cristo basta, ma la presenza di un amico garantisce, nelle parole che dice e nella presenza costante, che siamo amati, capaci di relazioni positive, che non si crede da soli e che nessuno si salva da solo.
Il primo annuncio dei Dodici e dei cristiani è quindi la loro vita stessa, un evento di amicizia, un germe di comunità, la vittoria sulla solitudine.

Non prendete nulla per il viaggio”.
È la nudità della croce. I cristiani riproducono in sé il volto di Colui che li invia, l’Uomo che cammina povero e libero, senza un luogo dove posare il capo e pieno di amici.
Non prendere nulla, perché tutto ciò che hai ti divide dall’altro, perché nessun uomo è ciò che possiede, perché vivrai dipendente dal Cielo e dagli altri, di pane condiviso e di fiducia, perché la forza è nella Parola, che si diffonde solo per incarnazioni in testimoni e in martiri.

Entrati in una casa, lì rimanete”.
I discepoli di Cristo cercano la casa, il luogo più vero, dove la vita nasce, vive d’amore, si converte dalla solitudine alla comunione. Il cristianesimo deve essere significativo lì, nella casa, nei giorni festivi e in quelli feriali, quando si è in armonia e quando l’amore sembra finito, quando nasce un bambino e quando l’anziano perde il senno o la salute. Là dove la vita celebra la sua festa e piange le sue lacrime, scende come manna la Parola di Dio.
Purtroppo “in qualche luogo non vi riceveranno e non vi ascolteranno”.
Con questo Gesù non vuole spegnere il loro entusiasmo, vuole solo metterli in guardia dalle difficoltà che incontreranno nella missione. Come lui, i Dodici troveranno sulla loro strada il rifiuto, l’indifferenza, forse anche la derisione e il disprezzo.
Non per questo essi dovranno abbandonare il loro ministero: anzi, le tribolazioni cui andranno incontro li assoceranno all’evento salvifico della croce e li condurranno a fidarsi solo in Dio.

Quanto all’annuncio, esso è fatto di poche parole: “convertitevi”; e di pochi segni: prendersi cura di chi è malato nell’anima e nel corpo. Liberare dal Male e dalle malattie.
Quando si parla di evangelizzazione, il nostro pensiero corre subito al “che cosa devo dire” e meno, molto meno, a “come devo essere”, al mio stile di vita. Invece lo stile non è secondario, mai come in questo caso lo stile è l’uomo.

Perciò il vangelo di oggi ci mette un po’ in crisi.
Ogni giorno io cerco un amico, un bastone cui appoggiare la stanchezza, questo è così umano.
Ma ora cercherò qualcosa d’altro, cercherò il coraggio di non prendere con me nulla se non Cristo e, se ancora non mi fido totalmente, almeno qualcosa di Cristo, un tratto del suo volto, e che sia riconoscibile. E ne parlerò, ma con poche parole. Il Vangelo, la bella notizia dice: Dio è con te, guarisce la vita, purifica il mondo; è con te con amore.
Questo auguro, a me e a ciascuno: Dio sia con voi, con amore!

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