COMMENTO ALLE LETTURE

“Chi ben comincia è a metà dell’opera”, ammonisce un saggio proverbio, ed ancora: “Tutto è difficile prima di diventare facile”. Ne deriva, pertanto, che per cominciare bene una missione occorre non farsi bloccare dalle difficoltà che si possono incontrare, soprattutto all’inizio.

Che sono difficoltà interiori più che esteriori, nel senso che sono difficoltà presenti, ma nascoste maggiormente, nella debole fiducia in se stessi di riuscire nell’impresa piuttosto che in oggettivi ostacoli esterni.

E’ proprio per questo ragionamento un po’ paradossale che il brano di Marco del vangelo di oggi (denominato anche “epilogo”) è molto attuale.

In ogni tempo, infatti, i discepoli si sono trovati sempre alle prese con la realtà della trasmissione della fede e con le difficoltà legate a questa missione.

Oggi, come sempre, è in gioco la trasmissione della fede, trasmissione che incontra la sua prima subdola difficoltà proprio nella titubanza, nella incredulità, nel tentennamento mentale di chi dovrebbe trasmetterla. Infatti il brano conclusivo del vangelo di Marco (che fu collaboratore di Pietro nella predicazione del vangelo) è proprio per questo di una attualità sorprendente.

In esso infatti si vede Gesù alle prese con la realtà della trasmissione della fede, realtà che incontra le prime difficoltà a causa della durezza di cuore e della incredulità proprio da parte di coloro i quali invece avrebbero dovuto avviare questa trasmissione senza tentennamenti e dubbi.

E’ così che una realtà si trasforma in problema, in questa resistenza della mente umana ad accettare il mistero, il dato di realtà del mistero. E il dato di realtà da accettare senza freni e sospettosità è il Cristo risorto. Che lo si sia visto direttamente o che ci si abbandoni ad accettare la testimonianza di chi asserisce di averlo visto, poco conta. Quello che conta, quando ci si rende conto di avere, in dono, la missione della trasmissione della fede, è di abbandonarsi alla fede immediatamente, il che comporta l’abbandonare decisamente il dubbio, l’incertezza, il sospetto, il tentennamento, il troppo ragionare.

Infatti Gesù è risentito di tutto ciò e rimprovera di brutto i suoi intimi amici discepoli per non aver prestato subito fede alla Maddalena, prima e ai due di ritorno a Emmaus, poi (“Perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato”).

E’ bello e confortante rimarcare la dinamica interiore di questo “abbandonarsi a credere” , abbandonando tutto quello che la può ostacolare. E’ una dinamica simile a quella che si vive nel vedersi recapitare un pacco – dono inaspettato e da accettare a scatola chiusa, senza fare domande e godendo subito del fatto che è stato confezionato proprio per noi.

Ci sarà tempo poi di scartare il pacco e di vivere quotidianamente lo stupore della scoperta di quanto fosse prezioso quel dono pensato e voluto dal donatore (Donatore…) proprio per sé.

Il dono della fede è gratuità assoluta da parte di Dio e l’accoglienza di tale dono genera la gioia riconoscente da parte dell’uomo. Gratuità e gioia diventano così le due rotaie del binario su cui far viaggiare, nel tempo, la trasmissione della fede.

Riconoscere la gratuità del dono e gioire per questo dono diventano così la modalità relazionale privilegiata da assumere con i fratelli perché la fede continui a circolare nella storia dell’umanità.

E i frutti visibili (straordinari o meno) che si vedranno (belle le metafore dei serpenti inoffensivi, dei veleni innocui, dei nuovi linguaggi nei quali far calare la evangelizzazione… usate da Gesù per incoraggiare i suoi) saranno la garanzia che la storia della salvezza continua.

La trasmissione della fede da parte di chi ha vera fede mette il futuro al sicuro, il proprio futuro personale e il futuro della medesima fede, a condizione che avvenga nella gratuità gioiosa del testimoniare… costi quel che costi.

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