COMMENTO ALLE LETTURE

Vieni!

Nel giorno di Pentecoste la verità del mistero pasquale si manifesta in tutta la sua disarmante potenza. Il Signore risorto effonde su di noi il suo Spirito, per renderci capaci di entrare in una vita nuova, libera dalle ambiguità, affrancata da pesi inutili, chiamata a vivere all’altezza di quel bisogno di felicità che ci abita ed è il sogno stesso di Dio per ciascuno di noi.

Cinquanta giorni dopo la Pasqua, la comunità dei credenti ritorna al giorno in cui, la vita risorta del Dio fatto carne, ha iniziato a dimorare nell’esistenza spaventata e vulnerabile dei suoi discepoli. Il Signore Gesù appare nel luogo dove si trovavano i discepoli, barricati per la paura, prigionieri del fallimento e del rimorso. Senza alcun risentimento, senza nessuna rabbia, senza neppure quel sottile senso di superiorità che si prova quando si esce vittoriosi da un difficile momento, «venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”» (Gv 20,19).

Il dono annunciato da tutti i profeti per i tempi messianici, lo shalom di Dio che ci fa pieni di gioia, “gravidi” di vita in abbondanza, viene offerto a uomini che si sentono presumibilmente e comprensibilmente vuoti. Del resto, la paura si vince solo così: non con una semplice rassicurazione, ma con una generosa restituzione di vita, dando fondo alle riserve di fiducia, affinché la tristezza del fallimento, ceda il posto alla certezza che si può ricominciare sempre, che nulla è impossibile a Dio.

Pentecoste è la festa della riconciliazione che risana, perché, solo il fuoco di un amore insperato e impetuoso, può trasformare ogni paralisi in un impensabile slancio missionario verso gli altri. A coloro che hanno tradito, rinnegato, preferito fuggire che rimanere, viene offerta una «manifestazione particolare dello Spirito» (1Cor 12,7): l’occasione di poter annunciare non più se stessi, ma l’unico amore fedele e vero, quello di Dio.

Solo a partire da un perdono incondizionato e pieno, si può apprendere un linguaggio — quello della misericordia — capace di aprire qualsiasi porta e di toccare ogni cuore. Nello stupore di tutti, il giorno di Pentecoste, gli apostoli si manifestano come il segno di una nuova umanità capace di vivere non più chiusa in se stessa, ma protesa, pericolosamente sbilanciata in un abbraccio che non ha la pretesa di comprendere il mondo, ma l’urgenza di fargli conoscere quanto sia amato.

Lo Spirito, che scrive la parola di Dio nelle tavole di carne dei nostri cuori, scriva in essi anche la parola « pace». La scriva e ce la faccia ascoltare anche attraverso la lingua diversa dell’altro. La bellezza della Chiesa è questa: essere una comunità in cui riconosciamo le opere di Dio perché le ascoltiamo narrate nella differente lingua di ciascuno. Ogni volta, infatti, che la Chiesa diventa comunità in cui si impone un’unica lingua per parlare di Dio, essa si trasforma in Babele e crolla, cessa di essere ciò che deve essere; oppure si divide in tante “chiesuole”, in cui un braccio o un piede pensano di essere tutto il corpo (cfr. 1Cor 12,14-26), senza riconoscere di appartenere a un corpo ben più grande.

Vieni, Santo Spirito, piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Vieni, tu che sei vento impetuoso ma anche brezza leggera, tu fierezza ma anche dolcezza, tu rigore ma anche amabilità, tu assolutezza della verità ma anche tenerezza della misericordia (Angelo Casati).

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