La liturgia odierna della Parola è l’invito di Cristo, lo Sposo, a sedere a mensa con Lui, per nutrirci della sua sapienza, la Parola e il Pane e il Vino della Vita.
La nostra attesa ardente d’amore e desiderio è la chiave che apre la porta del banchetto di nozze. Il nostro oggi diventa tempo “pieno” della sua presenza e storia di salvezza.
La prima lettura (Sap 6,12-16) ci presenta un vero e proprio poema d’amore, che canta il vicendevole cercarsi e l’instancabile frequentarsi da parte di due innamorati: la sapienza e chi la cerca. Riecheggiando i tratti e i toni del Cantico dei cantici, tesse l’elogio del desiderio della sapienza, che nel contesto ampio dei libri sapienziali si può definire come l’arte del sapere ben dirigere la vita e dunque la capacità di discernere tra ciò che è vero e falso, tra ciò che dà vita e ciò che porta alla morte, tra il bene e il male. Da Dio stesso trae la sua origine e ne possiede le caratteristiche (Sap 7,22 ss.).
Seguendo la tradizione sapienziale (Pr 8,1-9; Sir 24,1-22), l’autore descrive la sapienza in termini personali, paragonandola a una donna di bellezza radiosa, non soggetta a invecchiamento, che si lascia trovare da chi la ama e la ricerca: essa colloca se stessa e l’uomo su un piano di ricerca amante, di desiderio e relazione personale. Non è una scienza arida, ma suscita sentimento, trasporto, amore, risvegliando le passioni profonde.
In questa relazione dischiude la propria identità, mostra il suo volto e i suoi tratti a chi la accosta con desiderio. E nel rivelarsi svela i suoi segreti, la sua sapienza, perché è lei stessa che desidera lasciarsi trovare proprio per comunicare le sue ricchezze: apre l’accesso a quella conoscenza delle cose e della vita che le è proprio e nel contatto con lei si acquisiscono i suoi tratti e si assimila il suo stesso modo di vedere, sapere, sentire e decidere. Si entra cioè in un itinerario che conduce alla conoscenza e all’unione d’amore che trasforma e dà gioia e vita. L’immagine più usata dai libri sapienziali per descrivere questo incontro trasformante, che immette nella gioia della vita, è il banchetto conviviale, che la sapienza imbandisce per i suoi amici.
E proprio nell’imminenza di un banchetto ci conduce il testo evangelico (Mt 25,1-13), la ben nota parabola delle dieci vergini.
In poche battute l’evangelista dipinge la situazione, chiara agli ascoltatori del tempo, un po’ meno a noi: lo sposo viene a prendere la sposa, che aspetta con le compagne nella casa paterna, per portarla, in corteo nuziale, alla propria dimora e dare così il via ai festeggiamenti e al banchetto di nozze. Accade però un imprevisto: lo sposo ritarda.
E’ a questo “imprevisto”, che assilla la prima comunità cristiana, che cerca di dare risposta la nostra parabola.
Un problema infatti si verifica molto presto, dopo la morte e risurrezione di Cristo: l’attesa si prolunga, ma il Regno non arriva e Gesù non torna. Come gestire questa situazione?
La forte tensione che attraversa la prima comunità cristiana, tutta protesa nella certezza di un imminente ritorno del Signore provoca addirittura, nella comunità di Tessalonica, fondata da Paolo, l’insorgere di un problema legato a questa attesa: ma quelli di noi che sono già morti come potranno incontrare Gesù al suo arrivo? Non saranno sfavoriti rispetto a noi che ancora saremo in vita? La seconda lettura (1 Ts 4,13-18) ci offre la risposta di Paolo a questo interrogativo.
Egli afferma che l’unica consolazione che deve muovere e sostenere la fede e la vita presente è la fede nel Signore morto e risorto: non c’è nessuna afflizione per coloro che credono e sperano nel Signore. Comprendiamo chiaramente che l’unico pensiero che abita Paolo e della comunità di Tessalonica è la fede in Gesù morto e risorto e l’attesa della sua venuta definitiva.
La parabola odierna riguarda proprio questo tempo intermedio di preparazione e attesa. Verte sul cosa fare mentre lo sposo si fa aspettare: intende spiegare quale deve essere il comportamento dei discepoli durante il lungo periodo di attesa che precede la venuta di Cristo nella gloria. Come vivere l’attesa? Ecco che il Vangelo ci raggiunge per muoverci a una scelta.
Matteo, nel presentare l’atteggiamento delle dieci vergini dà già un giudizio di valore: si sa già che cinque agiranno bene (sagge) e cinque male (stolte). Si tratta allora di sapere perché le une sono sagge e le altre stolte. Quello che fa la differenza nel comportamento delle due categorie non è la capacità di veglia (tutte si addormentano), ma la scorta di olio. La parabola suscita allora nell’ascoltatore questa domanda e fa scattare la riflessione: perché le sagge hanno preso una scorta d’olio? Qui la parabola non dice niente, rimane spazio all’interpretazione. Proviamo ad aprire una pista: le sagge sono state previdenti, accorte, hanno cercato di capire la situazione e i possibili sviluppi della cerimonia, si sono preoccupate per tempo per affrontare ogni genere di eventualità. Erano “abitate” dal pensiero di partecipare alle nozze, come la comunità di Tessalonica lo è dalla speranza certa dell’arrivo di Gesù, e non hanno risparmiato né energia né fantasia per essere all’altezza del loro compito. Erano già dall’inizio partecipi delle nozze. Ecco la sapienza che le rende previdenti e pronte all’arrivo dello sposo. Le stolte, al contrario, hanno lasciato coabitare il pensiero delle nozze con altri pensieri e hanno fatto solo il loro dovere e poco più. Non hanno tenuto vivo il desiderio dell’incontro, fermandosi al calcolo di chi si mette a posto la coscienza, assicurando il minimo - la lampada con dentro l’olio – e niente più. Il “non vi conosco” finale detto alle vergini stolte assume il tono non di castigo, ma di svelamento di un atteggiamento precedente di non amore e perciò di non desiderio: rivela cioè cosa c’è dentro quella dimenticanza d’olio: solo ciò che non occupa il tuo cuore e il tuo desiderio viene dimenticato. E’ un verbo forte, se collocato nel linguaggio vetero-testamentario: conoscere è entrare in relazione intima profonda, sponsale. Da questo si è esclusi perché ci si è autoesclusi con un atteggiamento che rivela disamore e indifferenza.
Lasciamoci sorprendere da questo Vangelo che ci rivela il vero volto dell’attesa e del tempo presente: per noi discepoli del Regno la vita può diventare il luogo di un’instancabile cercarsi e conoscersi da parte di due innamorati: l’uomo e Dio. E l’attesa del suo ritorno invece che avere l’aria di uno scotto da pagare, pesante o addirittura noioso e indifferente, diventa luogo della rivelazione del volto di Chi stiamo aspettando.
Frequentiamo la casa della Sapienza e cibiamoci del Corpo e Sangue di Cristo, facendo ardere senza sosta la nostra lampada, per assumere i tratti della Sapienza stessa, del volto di Colui che è amiamo e perciò attendiamo. Riveleremo con la nostra vita e le nostre scelte a cosa stiamo dando il nostro cuore, la nostra priorità.
Permettiamo a Cristo di aprirci la porta della sala del banchetto: la chiave è il nostro desiderio, segno del suo Amore che già ci abita. Diamo voce a questo desiderio, pregando con il salmista O Dio, tu sei il mio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne (salmo 62).