COMMENTO ALLE LETTURE

DIO O IL CASO?

 Lo scrittore e giornalista Roberto Gervaso, volto noto della televisione, ha dato una definizione provocatoria della vita: “La vita è un’ avventura con un inizio deciso da altri, una fine non voluta da noi, e tanti intermezzi scelti a caso dal Caso”.
Questa definizione rispecchia una certa mentalità, diffusa oggi anche tra i cristiani. Non si tratta, per la verità, di una novità: da sempre gli uomini hanno considerato la possibilità che la vita umana sia governata dal caso. Gia Federico il Grande scriveva: “Più si invecchia e più ci si convince che Sua sacra Maestà il Caso fa i tre quarti del lavoro in questo miserabile universo”.

La liturgia odierna ci dice qualcosa di completamente diverso: il caso non esiste.

“Il Signore mi ha plasmato suo servo dal seno materno” (prima lettura);

“Nel rotolo del libro di me è scritto di fare la tua volontà” (salmo responsoriale);

“Voi che siete stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata” (seconda lettura);

“Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo” (Vangelo).


La Bibbia usa le quattro immagini sopra citate per descrivere una buona notizia: noi non siamo al mondo per caso, ma per un atto d’amore da parte di Dio.

L’immagine del seno materno ci ricorda che Dio ci ha invitati ad amarlo e servirlo fin da prima che vedessimo la luce. Ci conosceva prima ancora che nascessimo e ha un progetto su di noi. La nostra nascita non è frutto di un caso.

L’immagine del rotolo del libro ci ricorda che in cielo è scritta la nostra storia personale: tutto viene annotato da Dio con amore: Dio conosce tutto di noi. Gli eventi che ci accadono fanno parte di un progetto misterioso, scritto in cielo, nel libro di Dio. La nostra storia non è frutto del caso.

L’immagine della chiamata ci ricorda che la nostra vita ci è stata data da Dio, che ci ha chiamati all’esistenza per amore. La nostra vita è una risposta a una vocazione e non è frutto del caso.

L’immagine del profeta che annuncia il futuro ci assicura che non solo il passato e il presente sono nelle mani di Dio, ma anche i giorni che verranno. Non c’è nulla da temere: Dio prepara un cammino con tenerezza per ciascuno di noi, e noi possiamo liberamente e responsabilmente scegliere di comportarci come Dio vuole e ricevere la sua benedizione. Il nostro futuro non sarà frutto del caso.

 

Potremmo sintetizzare quanto finora detto con una frase di Madre Teresa di Calcutta: “La santità non consiste nel fare cose straordinarie. Essa consiste nell’accettare, con un sorriso, quello che Dio ci manda [e non il caso]. Essa consiste nell’accettare e seguire la volontà di Dio”.

In questa Domenica possiamo prendere coscienza di questa dimensione “non-casuale” della nostra vita per ringraziare il Signore e impegnarci a vivere in modo sempre più grato e conforme alla volontà di Dio.

 

ESSERE SERVO PER AMORE

 

Nella prima lettura ricorre tre volte la parola “servo”.

Il servo ha come caratteristica principale quella di fare la volontà del suo padrone.

Nel salmo viene ripresa questa idea di essere servo: “Compiere la tua volontà: questo io desidero”.

Paolo definisce se stesso non solo apostolo ma anche “servo di Gesù Cristo”.

Anche Gesù, nel Nuovo Testamento, viene definito “servo”. “Il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù” dice Pietro alla folla, nel tempio di Gerusalemme (At 3,13); e S. Paolo aggiunge “Cristo Gesù, pur essendo di  natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, asssumendo la condizione di servo” (Fil 2,7).

Oggi la parola “servo” non va tanto di moda e non ci ispira sentimenti positivi.

Il dizionario Treccani definisce così il termine “servo”: “Chi dedica tutto se stesso a servire spiritualmente e materialmente altri, o chi è pronto a conformarsi interamente, per deferenza, per devozione o per interesse, alla volontà altrui; con questo significato era usato soprattutto in alcune formule di cortesia e di saluto (sono il servo umilissimo di Vostra Altezzaservo suoservo vostro)”.

Possiamo dire che Gesù si è fatto servo per amore. Ha dedicato tutto se stesso a beneficare spiritualmente e materialmente gli uomini e le donne che ha incontrato; è stato pronto a conformarsi interamente, per amore, alla volontà del Padre.

Anche Giovanni Battista, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, si dimostra autentico servo di Dio, eseguendo un incarico preciso: “Sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”. E ci parla di “Colui che lo ha invitato a battezzare”. Questo “Colui” con la “C” maiuscola è Dio Padre, cui Giovanni è sempre stato obbediente, dimostrandosi veramente servo fedele.


La Parola di Dio odierna ci ricorda questo aspetto della identità di un misterioso personaggio (nel libro di Isaia), di San Paolo (seconda lettura), di Gesù (nel Vangelo) e ci invita a seguire questi esempi, facendoci servi di Dio, e anche servi gli uni degli altri. Allora il titolo “servo di Dio” non sarà più denotato da una connotazione negativa, ma sarà il complimento più grande che potremo ricevere.

 

Paolo VI, ricordando il giorno della sua elezione, disse: “A proposito di dignità, un’altra impressione ho provato quando, dopo la famosa fumata bianca, mi son sentito circondato da ogni sorta di omaggi, ed ebbi qualche coscienza, con pericolo di vertigine, dell’altezza della mia funzione apostolica, e subito ho avvertito il distacco che poteva derivarne, per la mia modesta persona ed anche per il mio ministero, dalle persone care, dagli amici, e specialmente dal popolo per il cui bene spirituale ero investito della sublime ed eccezionale dignità di Vicario di Cristo. La scala gerarchica può forse talora costituire una distanza fra l’eletto e la comunità, e generare coscienza di privilegio. Io, rievocando quella giornata, devo ringraziare il Signore di essere stato interiormente invaso da un sentimento di immensa simpatia per coloro al cui servizio ero stato posto; ho avvertito nell’intimo del cuore la mia nuova definizione: servo dei servi di Dio” (Udienza del 21 giugno 1972).

 

La liturgia ci invita a diventare servi di Dio, per trovare la nostra nuova definizione, più profonda e autentica, come battezzati, chiamati dal Padre ad una missione di servizio e carità, nella massima libertà e responsabilità  personale.

 

AGNELLO DI DIO CHE TOGLI I PECCATI DEL MONDO

 

Anche oggi, prima di ricevere la Comunione, ripeteremo per tre volte “Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo”.

 

L’espressione «Agnello di Dio» (vangelo) evoca negli ascoltatori ebrei due immagini distinte, ma in fondo convergenti: l’immagine del Servo di Yahvè che appare “come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” (Is 53,7), e l’immagine dellagnello del sacrificio pasquale.
Stando alla cronologia giovannea, Gesù fu messo a morte la vigilia della festa degli azzimi, vale a dire della Pasqua, nel pomeriggio, nell’ora stessa in cui, secondo le prescrizioni della legge si immolavano nel tempio di Gerusalemme gli agnelli. Dopo la morte non gli furono spezzate le gambe come agli altri condannati, ed in questo fatto l’evangelista vede la realizzazione di una prescrizione rituale concernente l’agnello pasquale (Gv 19,36; cf Es 12,46).

La liturgia odierna ci dice che Gesù, il Cristo, è l’agnello della Nuova Pasqua che, con la sua morte, inaugura e suggella la liberazione del popolo di Dio. 

In questa luce va letta la prima lettura, che parla della missione del Servo di Yahvè. Molto presto la Chiesa primitiva ritroverà in Cristo i lineamenti di questo profeta descritto da Isaia.

Riconoscendo il Servo di Yahvè in Gesù «agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», la comunità primitiva esprime la propria fede in Cristo liberatore e salvatore del mondo.

 

Anche noi vogliamo riconoscere in Gesù colui che ci lava dal peccato col suo sangue, il sangue dell’Agnello della nuova alleanza. Nell’accostarci alla comunione siamo consapevoli che il Corpo e il Sangue di Cristo ci purificano e rinnovano. Con le parole della liturgia possiamo ripetere la preghiera che il sacerdote fa sottovoce, inchinandosi davanti al Pane e Vino consacrati: “Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito Santo morendo hai dato la vita al mondo, per il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue liberami da ogni colpa e da ogni male, fa' che sia sempre fedele alla tua legge e non sia mai separato da te”.

 

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