COMMENTO ALLE LETTURE

Al primo posto, la gratuità

Il messaggio che ci viene rivolto oggi è forte e chiaro: «Perché [...] dagli umili egli è glorificato» (Sir 3,20). L’umiltà — così come ce la presenta il Signore Gesù — è una spada a doppio taglio, la cui verità è sempre da verificare per il continuo agguato dell’ipocrisia. E allora la prima cosa che dobbiamo confessare — nel senso più forte del termine — è che l’umiltà è un’arte difficile e che gli umili — come i veri artisti — sono rari e perlopiù sconosciuti a se stessi. La seconda cosa che dobbiamo confessare è che l’umiltà è un’arte molto imitata, ma raramente riuscita, soprattutto quando non nasce dal cuore, più precisamente non dice il cuore.

Ma andiamo direttamente al Vangelo, e vorrei iniziare da qui: c’è un incrociarsi di sguardi: lo sguardo dei farisei, lo sguardo di Gesù. C’è modo e modo di guardare la vita, le persone, ciò che sta accadendo, c’è modo e modo di guardare un banchetto. C’è il modo di guardare dei farisei che guardano Gesù. È un guardare sospettoso, è come se lo spiassero. Purtroppo il taglio dei versetti, operato dalla liturgia, non permette di capire. Era di sabato! C’era un uomo malato. Come si sarebbe comportato Gesù? Non dicono niente. Nell’episodio non viene registrata una sola parola dei farisei, ma Gesù sente il loro sguardo, pieno di preconcetti, di pregiudizi, sguardo indagatore, accusatore. Ed è lui che li porta allo scoperto, li stana con la sua domanda: «È lecito di sabato curare o no?». È come se Gesù denunciasse un’incongruenza nel banchetto: ma come? Ci invitiamo per sostenerci con il pane, nella vita, e con le vostre regole negate a uno dei presenti la possibilità di una vita che sia vita? Chiamate alla festa e a uno dite: tu non fare festa? E Gesù, prendendolo per mano, lo guarì e lo lasciò andare. È la condanna dello sguardo pieno di sospetti, di pregiudizi, di preclusioni.

E c’è lo sguardo di Gesù che osserva ciò che avviene al banchetto: «notando come sceglievano i primi posti». È un osservatore attento della vita, di ciò che accade, Gesù. Non è risucchiato dagli eventi, conserva uno sguardo lucido, sapiente. E ne ricava insegnamento. L’attenzione alla vita ti consentirà di ricavare dalla vita stessa parabole, insegnamenti, come faceva Gesù. Gesù fa parlare la vita, osservando nel banchetto prima gli invitati e poi colui che invita.

Sul versante degli invitati la rovina è la ricerca dei primi posti. Sì, perché inserire un criterio gerarchico dentro una cena, significa defraudarla del suo vero splendore: la cena è un fatto di fraternità. Che controsenso mettere precedenza, supremazia, primi posti nel simbolo della fraternità. Vi confesso che questo richiamo di Gesù, ogni volta che lo colloco all’interno della cena dell’Eucaristia, mi mette qualche disagio, perché qualche precedenza si è introdotta anche qui e può sembrare che chi presiede o predica si metta in qualche modo al primo posto, mentre per l’Evangelo non ci sono i primi posti. Ci sono compiti diversi e non primi posti. Anzi Gesù ha dato una consegna agli apostoli, quella di occupare, ma non solo verbalmente, nel modo di vivere, l’ultimo posto. Questa la regola per gli invitati.

E poi la regola per chi invita. Anche da questo punto di vista, la regola che dà Gesù è una regola che salva l’essenza del banchetto: «invita poveri, storpi, zoppi, ciechi (ossia gli esclusi) e sarai beato perché non hanno da ricambiarti». Se un banchetto vive del segno del nutrire, del far festa, che banchetto sarebbe un banchetto dove i soliti si ingozzano e fanno festa mentre gli altri sono tagliati fuori? Che immagine di Dio rimanderebbe o che immagine di umanità rimanderebbe un banchetto con questa esclusione? Spesso, infatti, non ci rendiamo conto che con il nostro banchettare mettiamo in gioco l’immagine di Dio: Dio per pochi, per un gruppo di privilegiati o per tutti? Mettiamo in gioco l’immagine dell’umanità: una umanità del tornaconto o un’umanità della gratuità?

«E sarai beato»! Perché la ricompensa al dono non è il contraccambio, ma la felicità dell’altro, e la vita che attorno a te risorge. E sarai beato, perché la gioia più grande è quella che da te defluisce e che ri-attingi, moltiplicata, dal volto dell’altro. E sarai beato, perché agisci come agisce Dio, perché vivere è dare. Sta proprio in questo la gioia, nell’entrare quotidianamente, con le nostre scelte, nella logica della gratuità, che permette di accoglierci come siamo, senza etichette escludenti. Se facciamo così, nel povero che mettiamo a tavola scopriamo la nostra povertà, nello storpio la nostra infermità, nel cieco la nostra cecità. Allora la gratuità non sarà a senso unico — potrebbe infatti diventare presunzione di chi è sempre e comunque più bravo degli altri — si fa invece reciprocità. Non c’è chi dà e chi riceve, ma ciascuno ha bisogno dell’altro e si fa dono all’altro.

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