COMMENTO ALLE LETTURE

MARTA E MARIA: LA PARTE MIGLIORE

Il tema unitario dell'odierna liturgia della parola fuoriesce prepotente come quello dell’ospitalità dell’accoglienza.

Nella prima lettura, sembra che Dio stesso si presenti come ospite ad Abramo: la tradizione cristiana ha sempre interpretato i tre uomini, o angeli, ospitati da Abramo e Sara come la stessa Trinità; il famoso iconografo Andrej Rublëv trarrà da questo brano la famosa icona della Trinità. Nella lettura evangelica è Gesù che è accolto come ospite nella casa di Marta e di Maria. Un tema, questo dell'ospitalità, che nella nostra società individualistica e anonima è tutto da riscoprire, un tema che prepotentemente viene alla ribalta ogni giorno e che, oggi, dovrebbe essere anche motivo di esame di coscienza per tutti i cristiani.

La Scrittura ci aiuta a scoprire in profondità che cosa è l'ospitalità: essa è un segno universale di umanità ma, per noi battezzati, un aspetto del comandamento nuovo di Cristo; accogliere l'ospite, cioè il forestiero, per noi significa accogliere Cristo stesso che si è identificato con tutti i bisognosi, significa aprire la propria casa - come fecero Abramo, Marta e Maria - per far riposare Gesù che passa, ricordando che Egli, ancora oggi, è in viaggio per le strade del mondo: « Lo avete fatto a me ». Significa, infine, ricordarci che tutti noi siamo su questa terra ospiti, cioè forestieri e di passaggio, in cammino verso il Signore (cf. 1 Pt. 2,11; 2 Cor 5,6).

Un antico detto popolare – che fa riferimento alla lettera agli Ebrei di San Paolo (Eb 13,1-2) - ci ricorda che nella pratica dell’ospitalità molti, senza saperlo, hanno accolto degli angeli, ma, sopra tutto, ospitare è declinare al bene, vincendo paure e diffidenze, quel male che vuole vedere gli uomini nemici fra loro e chiusi, rintanati, al fondo del loro egoismo e disperazione.

Gesù è a Betania in casa di Marta e di Maria, la casa anche dell’amico Lazzaro che resusciterà dopo aver pianto per lui davanti al suo sepolcro. Quella casa era una vera e propria famiglia di amici presso cui Gesù era solito appoggiarsi nel suo andare e venire a Gerusalemme. A Maria non sembrava vero di avere il Maestro, una volta tanto, tutto per sé, di poter ascoltare in silenzio e con tutta l'attenzione del cuore le parole di vita eterna che egli diceva anche nei momenti di riposo; cosi ella se ne stava ad ascoltarlo accovacciata ai suoi piedi. Marta invece era tutta preoccupata di fare una buona accoglienza a Gesù, facendo pulizia, mettendo in ordine, preparando un buon pasto. Non è difficile immaginare il tono, tra il serio e lo scherzoso, con cui si ferma davanti ai due in dialogo e dice a Gesù: Signore, ti pare giusto che mia sorella mi lasci sola a servire per starsene a godere della tua conversazione? Dille che venga anche lei ad aiutarmi! In fondo (ma questo lo avrà detto dentro di sé), lo faccio per te, non per me stessa. Anche a me - vuol dire Marta - piacerebbe starmene ad ascoltarti ai tuoi piedi, ma allora chi penserebbe a tutto il resto?

Fu a questo punto che Gesù pronunciò quella parola che da sola costituisce quasi un Vangelo a se stante: Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agili per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta.

Pensiamo ora alla qualità dell’accoglienza che le due donne pongono in essere secondo i loro pensieri: “Voi stessi date loro da mangiare” (cf. Mc 6, 37) pensa Marta; “Parla, perché la tua serva ti ascolta” (cf.1 Sam 3,10) pensa Maria. Due atteggiamenti biblico-evangelici che descrivono il comportamento tipo del discepolo stesso, un discepolo che non è uno schiavo o qualcuno di inerte che assorbe e basta quello che gli viene detto: è l’atteggiamento dell’amico, di chi sa che “non vi chiamo più servi ma amici” (Cf. Gv 15,15), di chi è cosciente che l’umanità nell’amore (e l’amicizia è una delle forme dell’amore, la preferita da Gesù!) fa un “salto di qualità”: l’umanità è ancora “più umana” quando ama, in tutte le forme dell’amore, a cominciare da quelle azioni principali dell’amore stesso quali l’ospitalità e l’accoglienza.

Con le sue parole, Gesù ci invita a purificare quest’amore, aiuta l’umanità e la fa crescere, da ogni forma di vanità e dispersione; le parole rivolte a Marta su cosa è necessario rendono l’amore ancora più centrato sul bene e, anche se Gesù sembra non preferire il modo in cui Marta ama, in realtà Gesù parla anche a Maria che sembra “agire” meglio di Marta, parla ad entrambe e ribadisce il nocciolo –la parte migliore!- necessario nel rapporto con Lui: la Parola, l’ascolto, la sua presenza salvifica.

Ma la parte migliore possiamo sceglierla solo se, a monte, si è scelto di ospitare, accogliere Gesù e vivere l’amore. Gesù usa un fatto per ribadire il necessario ma nessuno dei due atteggiamenti, di Marta e di Maria, è sbagliato o particolarmente giusto, la premessa all’ascolto della sua Parola è essere in casa, aver accolto Gesù, con Lui in casa, ai suoi piedi o al suo servizio, nessun atteggiamento è giusto o sbagliato perché è Lui che ci dice veramente cosa è importante, quale è la parte migliore.

Come nessun uomo ha speranza di perfezionarsi nell’amore se mai comincia ad amare, così non c’è nessuna speranza di accogliere l’amore di Dio e quindi la Salvezza se non cominciamo ad accogliere, a praticare l’ospitalità! Ospitare, accogliere è la premessa necessaria all’Amore che salva, l’unica cosa veramente necessaria agli uomini, senza la premessa nulla è possibile, nulla si può scegliere, senza la premessa dell’ospitalità rimane solo la parte peggiore, sia per Marta che per Maria: nessuno per cui preparare il pranzo, niente piedi presso cui accovacciarsi per l’ascolto!

In questi nostri tempi, popolati di paure ed incertezze, tempi in cui paure ed incertezze vengono addirittura manipolate ad hoc per chiudere ogni possibilità di sviluppo umano nella via dell’amore, sembra non esistere via migliore che fare quello che la paura vuole farci fare, non aprire le porte! Ma Cristo è colui che, alla porta della nostra vita, è fuori che bussa (cf. Ap 3,20), non prende a calci la porta né sbraita per entrare, ma con le sue nocche bussa timidamente per farsi ospitare, per farsi accogliere e cambiare le nostre paure in speranze certe di salvezza. Aprire le porte, correre il rischio dell’ospitalità e dell’accoglienza, vuol dire darsi la possibilità di conoscere quel Cristo che bussa e non, come molti, purtroppo credono, fare un favore a Cristo: il problema oggi di molti che si professano cristiani sta proprio qui, nell’inganno di credere di essere noi a fare favori a Dio, senza rendersi conto che Dio non ha bisogno dei nostri favori e ciò che ci suggerisce (ospitarlo!) è solo un consiglio per il nostro bene, per la nostra salvezza. Un cristianesimo che rifiuta a priori, per paura od egoismo, di ospitare, di accogliere, diventa orfano della Fede stessa, diventa figlio unico senza fratelli e, senza fratelli, senza amici, senza nessuno, soli con le proprie durezze ed egoismi, che senso ha preparare un banchetto e darsi da fare per viverne la gioia?

Qualora cadessimo nell’inganno illusorio di poter vivere una gioia senza amore, dobbiamo ricordarci che sicuramente non sarebbe una gioia per il banchetto eterno, per la Resurrezione, sarebbe solo un prepararsi per la morte, un vicolo senza uscita, un faticare senza paga (1 Cor 15,32).

Facciamoci un regalo, scegliamo il migliore, apriamo le porte e lasciamo entrare Cristo, che solo così le nostre povere gioie hanno speranza di diventare eterne!

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