Riflessione sulle Letture della Liturgia
14 settembre 2003
Esaltazione della Santa Croce - Anno B

di  Nello Crescenzi

 

Abbiamo la grazia di celebrare oggi la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, data la coincidenza di questa festa con la domenica.

La parola “croce” è  usata a volte per indicare una persona, una cosa o una situazione che siamo costretti a sopportare, che ci arrecano sofferenza o che ci sono fastidiose e moleste. Nel linguaggio comune è difficile scorgervi una valenza positiva; eppure, il segno della croce è una delle prime cose che impariamo da piccoli e anche se ci parla di sofferenza lo ripetiamo spesso, anche in circostanza molto belle: battesimi, cresime, matrimoni e magari anche quando ci mettiamo a tavola per un buon pranzo in famiglia.

         Dunque, evidentemente, la croce ci dice anche qualcosa di bello, di positivo.

La Santa Croce, infatti, che in questa domenica è al centro della nostra celebrazione festiva, è la croce di Cristo, quella che Gesù liberamente e per amore abbracciò: un mistero di amore, dunque, l’espressione più alta di quello che il nostro Dio ha provato, prova e proverà sempre per ciascuno di noi. Chi può voler bene più di un padre o più di una mamma? Secondo il profeta Isaia, solo l’amore di Dio è più forte di quello materno. Ebbene, questo amore che Dio prova per noi e di cui Lui stesso è costituito lo spinge ad inviare il Figlio: questi, lo sappiamo, obbedendo al Padre, si fa uomo e si abbassa fino alla morte, la più umiliante ed infamante, quella riservata ai peggiori delitti, la morte in croce.

Lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura: san Paolo nella lettera ai Filippesi descrive proprio questo abbassamento di Cristo che, pur essendo di natura divina, si fa uomo, si consegna nelle mani degli uomini per essere ucciso o, come si dice altrove, “si fece peccato”: Gesù in croce è schiacciato dal mistero del male tanto da morirne, ma proprio così lo vince dall’interno. A questo itinerario di svuotamento di sé corrisponde l’azione di Dio Padre che per questo lo esalta e lo costituisce Signore di tutte le cose stabilendo che solo nel nome di Gesù c’è salvezza. Il nome di Gesù: la spiritualità orientale ha tanto da insegnarci sulla potenza del solo nome di Gesù e nelle nostre preghiere fatte spesso di tante parole, potremmo qualche volta ricorrere alla semplice e rassicurante invocazione del nome di Gesù, ripetuto più volte: una preghiera semplice ma efficace, come quella famosa espressione usata per la preghiera del cuore: “Signore Gesù, abbi pietà di me”, una richiesta di salvezza essenziale ma al tempo stesso densissima. Anche nel brano evangelico di questa domenica, Gesù stesso, anche se non parla esplicitamente di salvezza, vi allude chiaramente nel suo dialogo con Nicodemo, quando dice: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna”.

Il “Figlio dell’uomo” è una maniera che il Vangelo usa per dire “Gesù” e l’innalzamento di cui si parla si riferisce alla sua crocifissione e morte. Il parallelo che viene stabilito con l’Antico Testamento è con il serpente di rame innalzato da Mosè sopra un’asta per far restare in vita coloro che, avendo peccato, venivano morsi dal serpente. La simbologia è davvero molto ricca e si potrebbe stabilire un altro parallelo con l’Antico Testamento, e precisamente con la Genesi, per dire insieme con il prefazio di oggi “chi dall’albero (del frutto proibito) traeva vittoria, dall’albero (della croce) venisse sconfitto”.

Nel Vangelo di oggi abbiamo ascoltato che è credendo in questo “Gesù  innalzato” che si ha la vita eterna. Chiunque crede in Cristo non muore ma ha la vita eterna.

         “Non muore”: l’espressione contraddice la nostra esperienza sensibile, perché noi tutti un giorno moriremo. Il “non morire” di cui parla Gesù, però, si può comprendere solo nell’ottica di una fede che crede nella vita del cielo alla presenza di Dio, quella vita eterna, quella vita piena che comincia già qui sulla terra, fin dal Battesimo, e vede nella morte un passaggio verso il nostro Dio che è nei cieli, un Dio nel quale crediamo, al quale, cioè, abbiamo affidato con fiducia la nostra vita e noi stessi.

Questo Dio non ci è stato rivelato da Gesù come un giudice impietoso, ma fondamentalmente come un Padre buono e misericordioso, il cui amore è gratuito. Lui ci ha amati per primo, ci ama comunque, “anche quando lo deludiamo” (Giovanni Paolo II, GMG 2000), continua ad amarci anche quando viviamo come se Lui non ci fosse, comunque ci aspetta, anche quando ancora siamo lontani da Lui. Questo Padre ricco di misericordia, non ha mandato il Figlio “per giudicare il mondo”, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui”.

“Perché il mondo si salvi”: questa salvezza che Gesù ci ha assicurato con la sua morte in croce e la sua resurrezione è per tutti, nessuno escluso. E in ogni celebrazione dell’Eucaristia questo mistero dell’amore di Dio viene riofferto per la salvezza di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo.

Ma se io chiedessi a ciascuno di voi: “Da che cosa tu devi essere salvato? Da che cosa ti salva il Signore con la Sua croce?”, la risposta “dal peccato e dalla morte” è vera, ma forse un po’ generica e inflazionata. Proviamo davvero in questa settimana a dare a queste domande una risposta del tutto personale, guardando alla nostra vita, quella di tutti giorni. Da che cosa ho bisogno di essere salvato? Da che cosa la croce di Gesù mi salva? Che cosa significa e perché Cristo è morto in croce per me?