Riflessioni sulle Letture della Liturgia
20 ottobre 2002
Ventinovesima Domenica per annum - A
di Gigi Avanti
Capita spesso, nelle relazioni interpersonali, di rivolgere a qualcuno delle domande non tanto per ottenere delle risposte quanto per scoprire da che parte sta colui al quale si rivolgono tali domande. Basti pensare al settore della politica.
Capita anche di peggio e cioè che talvolta si rivolgano delle domande-tranello dove la finalità vera non è quella di ottenere delle risposte, ma quella di mettere nei pasticci chi deve rispondere.
Ma c’è ancora di peggio ed è quando tale atteggiamento lo si ha, più o meno premeditatamente, nei confronti di Dio. C’è stato di frequente nel corso della storia chi ha cercato di tirare Dio dalla propria parte o di catalogare suo figlio Gesù Cristo secondo personalissimi schemi ideologici e quasi sempre questo tentativo è andato fallito.
C’è sempre nella vita di tante persone qualche situazione o qualche momento in cui si desidererebbe vedere Dio schierato sulle proprie posizioni, simpatizzante con le proprie vedute, in linea con la propria sensibilità politica, sociale e magari anche religiosa. Fintanto che tale desiderio resta tale può anche nascondere un vero bisogno di Dio, può esprimere una pregevole curiosità di mistero, ma quando tale desiderio degenera diventa sempre pretesa, arroganza, pretesto per affermare se stessi e tentativo di piegare Dio a sé stessi.
E’ proprio questo modo di far a scatenare l’irritazione di Gesù riportata nel brano odierno di Matteo. E’ bella e tutta da godere questa sacrosante irritazione di Gesù per la domanda dei farisei (che tra l’altro rispetta in pieno le dinamiche di una comunicazione adulta e non pettegolmente litigiosa).
L’irritazione di Gesù (più che non le sue parole) è la vera risposta sulla quale siamo costretti a riflettere. L’irritazione di Gesù non è scatenata dal contenuto della domanda (se è lecito o no, nella situazione politico-religiosa di allora, per un ebreo pagare le tasse a Cesare) ma dall’anima della domanda che è un’anima ipocrita e arrogante. E’ risaputo, infatti, che la superbia è il vizio capitale più antipatico.
L’irritazione di Gesù ci dice chiaro e tondo che non è quello il modo di rivolgersi a Dio; viene biasimato un modo di chiedere che non scaturisce dall’umile riconoscimento di un intimo bisogno di verità, bensì da un’arrogante pretesa, quella di rivaleggiare con Dio, di metterlo alle corde.
L’irritazione di Gesù ci dice che non è quello il modo di relazionarci con Dio. L’irritazione di Gesù ci dice che suo (e nostro) Padre non sopporta di essere convocato come un qualsiasi inquisito, ma chiede soltanto di essere invocato. Gesù ci dice che non è lecito convocare Dio per metterlo in difficoltà, ma che è lecito (e conveniente) invocarlo perché ci aiuti nelle nostre difficoltà.
Da ultimo: Gesù risponde anche al preciso contenuto della domanda, ma senza andare oltre e questo ci da una dritta per come vivere le relazioni interpersonali sul piano del chiedere e del dare. Ci indica di essere attenti al qui ed ora delle domande e delle richieste senza volere esagerare nelle risposte. Ci indica insomma di essere consapevoli del nostro limite di servi inutili … anche quando il venire richiesti potrebbe farci montare la testa.
E il cerchio si chiude. Infatti la domanda dei farisei a Gesù diventa paradossalmente la domanda di Gesù a noi: “E’ lecito o no montarsi la testa di fronte a Dio?”. E lo Spirito ci suggerisca, com’è nel suo stile, la risposta che non è mai soltanto moralistica, ma integralmente spirituale e cioè “non è lecito, ma neppure bello, giusto, conveniente, amorevole …”