UN DONO PER LA VITA

 

 

 

 

 

Motto del Policlinico Gemelli di Roma per l'Unità Operativa

"Coordinamento per la donazione di organi e tessuti a scopo di trapianto"

 

 

Mi sembra sia giunto il momento di ritornare sul tema della donazione di organi, sia in vita sia post mortem, vista la persistente mancanza di cultura su questo importante argomento riscontrata in ogni parte del nostro paese.
Le liste d’attesa per i trapianti sono da noi ancora troppo lunghe e per questo credo dobbiamo porci una qualche riflessione in merito. Quali sono le cause che determinano la nostra posizione di arretratezza rispetto al resto d’Europa e agli USA? Ogni persona – specialmente tra i medici – che affronta lo spinoso argomento dice la sua: c’è chi tira in ballo la Chiesa che sarebbe responsabile di porre un indicativo freno alla donazione di organi e chi ne fa un semplice motivo di assenza di cultura della donazione. Per quello che ho potuto notare, ponendo un minimo di attenzione al problema (anche a seguito di un’esperienza familiare vissuta), sono convinto che si possa escludere completamente la Chiesa e attribuire la limitatezza dei trapianti esclusivamente all’ignoranza con l’aggravante tipicamente italiana della burocrazia e della mancanza di una disposizione legislativa chiarificatrice al riguardo (la legge n. 91 del 1999 non è ancora attuata nella sua interezza).
Escludo la Chiesa da ogni responsabilità al riguardo perché oggi, attraverso l’importante azione del suo Magistero, è intervenuta chiaramente a condannare solo gli espianti in assenza dell’accertamento della morte effettiva e, soprattutto, il commercio degli organi. Ma questo non è anche quanto previsto dalle leggi dello Stato laico? Ecco perché la nostra religione ha completamente superato una vecchia credenza dell’inviolabilità del corpo umano. Le più autorevoli fonti ecclesiali, compresi i Papi che si sono susseguiti da Pio XI, indicano la donazione di organi come un atto d’amore che rientra perfettamente e con autorevolezza nell’ambito della carità quale virtù teologale.
A parte ciò che ha scritto Giovanni Paolo II nella sua lettera Enciclica “Evangelium Vitae” – preso a “motto” dal Settore Trapianti del Policlinico Gemelli di Roma – voglio riportare due citazioni basilari della nostra Chiesa cattolica sulla donazione di organi. Quella di Benedetto XVI: “L’atto d’amore che viene espresso con il dono dei propri organi vitali permane come una genuina testimonianza di carità che sa guardare al di là della morte perché vinca sempre la vita”. E quella del Catechismo della Chiesa Cattolica: “Il dono gratuito di organi dopo la morte è legittimo e può essere meritorio” (CCC 2301). Penso che quanto citato sul pensiero del Magistero della Chiesa possa essere sufficiente per asserire che la nostra religione ammetta le donazioni – sia da vivo sia post mortem – e i conseguenti trapianti di organi senza alcuna remora.
Allora dove si dovrebbe incidere per superare il divario culturale con i paesi occidentali? Come sostiene anche la maggioranza dei medici addetti ai lavori, si dovrebbe agire con un’azione lunga e capillare per diffondere la cultura della donazione in tutti i centri di diffusione culturale, a cominciare dalle scuole primarie. Inoltre, aggiungo io, si dovrebbe introdurre legalmente anche per i cittadini italiani il concetto del silenzio-assenso ‘informato’ per l’asportazione di organi dopo la propria morte. E pensare che per attuare ciò basterebbe rendere operativa la legge n. 91 del 1999 che al suo Art. 4 dispone: “Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti dalla presente legge e dal decreto del Ministro della sanità di cui all'articolo 5, comma 1, i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione, secondo quanto stabilito dai commi 4 e 5 del presente articolo”.
Purtroppo, però, questa legge non è completamente applicata, nonostante siano trascorsi diciotto anni; sembra solo perché mancano alcuni decreti attuativi. Nel caso si rendesse esecutivo tale articolo, potremmo diventare tutti donatori salvo che non esprimessimo un diniego nel corso della nostra vita. Si eviterebbero tanti intoppi burocratici incrociati (per esempio la chiamata in causa dei parenti) che oggi ancora ostacolano l’iter dell’asporto di organi da cadavere. Però così si contrasterebbe la nostra principale caratteristica di essere un popolo che complica le cose semplici.

 

Gian Paolo Di Raimondo