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don Pino Pulcinelli

 
 
 

E' di nuovo guerra!


E’ sempre guerra! Da secoli la settima beatitudine del discorso della montagna di Gesù è disattesa: dove sono coloro che possono annoverarsi nella categoria dei “beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9)? Quindi, sembra quasi che pochi potranno essere chiamati “figli di Dio”. Nella storia dell’umanità passata e presente a me sembra scarseggino le “persone che amano molto la pace, tanto da non temere di compromettere la propria pace personale intervenendo nei conflitti al fine di procurare la pace tra quanti sono divisi”. Prendiamo il recente caso della guerra scoppiata in Libia e tutti gli altri casi dei sanguinosi conflitti esplosi dopo la seconda guerra mondiale; rari come le mosche bianche sono stati i “pacificatori” e sempre inascoltati, e le azioni di mediazione organizzate per scongiurare la guerra sono state sporadiche e sempre fallite. Tra i ricordi personali mi viene in mente l’inutile sforzo diplomatico di Giovanni Paolo II, anche attraverso il suo ministro degli esteri Jean-Luis Tauran, per convincere il presidente Bush a non intervenire militarmente in Irak. Oggi, si poteva evitare la guerra in Libia? Non lo so, ma almeno ci si poteva provare. Forse mi sono distratto, ma a me sembra che nessun mediatore - nessun “pacificatore” - si sia recato dal dittatore libico per tentare di farlo desistere dalla repressione violenta dei moti popolari e per proporre una qualche soluzione di compromesso onde non giungere al punto in cui l’intervento internazionale armato sarebbe stato inevitabile. Penso che l’ONU abbia traccheggiato per un po’ di tempo prima di intervenire proprio per far sì che qualcuno si muovesse in una missione diplomatica. Nemmeno Berlusconi, grande amico di Gheddafi, ha preso un’iniziativa in tal senso, non solo non ha provato a fare l’“operatore di pace”, ma ha detto che era meglio “non disturbarlo”. E devo aggiungere che, in questo caso anche il movimento pacifista, si è mosso in modo molto tiepido: credo sia invalsa l’opinione comune che una contestazione all’intervento armato dei “volenterosi” sarebbe interpretata come un appoggio indiretto a Gheddafi. Addirittura pochi hanno contestato che, con una velocità fulminea, si sia passati dalla “no-fly zone” deliberata dall’ONU ai bombardamenti perfino sulla residenza del dittatore. Padre Alex Zanotelli propendeva per inviare sul posto forze di interposizione non armate, cercando una soluzione diplomatica trattando con i ribelli e soprattutto con Gheddafi per fermare l’avanzata delle truppe, ma la sua voce non è arrivata a superare il muro della grande informazione ed è restata una delle poche proposte inascoltate di uno dei pochi “pacificatori” che vorrebbe applicare il Vangelo. Non penso nemmeno lontanamente di mettermi dalla parte del sanguinario dittatore; in tempi non sospetti, in occasione dell’accoglienza del tutto fuori luogo riservatagli dal nostro governo in almeno un paio di visite ufficiali in Italia, ho scritto alcuni articoli molto critici, sia per l’atteggiamento guascone ostentato da Gheddafi, a mio avviso inaccettabile dalle istituzioni dello Stato, sia per il servilismo dimostrato da Berlusconi con il baciamano. Ma non è possibile però accettare senza muover foglia che si possa arrivare alla guerra non avendo prima (e non dopo come si sta pensando di fare ora) esperito ogni minima possibilità per evitarla. Non c’è guerra giusta, umanitaria, inevitabile che non sia immorale. Per fortuna non sono solo a pensarla così e mi trovo in buona compagnia nel nostro mondo cattolico; anche se i vertici vaticani stavolta non sono entrati nel merito della crisi libica come fece Giovanni Paolo II nel 2003 su quella irachena e si sono mossi soprattutto nell’ambito della questione umanitaria, voci autorevoli hanno fatto sentire il loro dissenso su come la politica abbia gestito male la delicata situazione. Mons. Martinelli, vescovo di Tripoli, abbandonando la cautela di altre dichiarazioni di ecclesiastici, si è chiesto perché si sia intrapresa la via militare “troppo in fretta”. E dopo aver espressa la posizione classica della Chiesa e della Santa Sede in materia di “ingerenza a fini umanitari”, chiarisce però che una tale pratica possa essere approvata solo come “ultima ratio” e si domanda, come molti cattolici compreso il sottoscritto, se ciò sia davvero avvenuto. Il dubbio è che l’intervento militare alla fine non fermi le forze del dittatore. Il vescovo, che conosce bene il colonnello, prosegue: “Io spero in una resa, ma credo che Gheddafi non cederà, anzi penso che l’uso della forza ne accentui la reazione. A mio giudizio è stato dato il via ad un gioco sbagliato”. Un altro autorevole personaggio della gerarchia ecclesiale, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente emerito del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, sul conflitto libico si è espresso con altrettanti dubbi e preoccupazioni: “La guerra, qualunque sia la sua origine o finalità, è sempre una disfatta per l’uomo e va evitata”. E aggiunge: “Lo ribadisco, la risposta lasciata alle armi è sempre deleteria, bisognerebbe abbandonare la forza per cedere il posto al dialogo. Comprendo che non è facile con un tipo come Gheddafi …”. Ma perché, dico io, non ci ha provato nessuno?
Gian Paolo Di Raimondo
Roma, 27 marzo 2011