IL VENTO ANTI ESTABLISHMENT

 

 

 

 

 

 

I principali modelli di previsione fino a poche ore dal voto confermavano Hillary Clinton fra il 71,6% e il 99% di probabilità di spuntarla.
La Clinton era la candidata di Wall Street. Scorrendo la lista dei cento più importanti quotidiani americani nessuno aveva dato il proprio endorsement a Donald Trump.
Tutte le star cinematografiche e televisive appoggiavano la candidatura della Clinton. Obama per un mese si era prodigato in tutte le zone degli Stati Uniti in favore di Hillary.

Nonostante ciò il Presidente degli Stati Uniti d’America è Donald Trump!

 

 

 

 

In questo caso, contrariamente a quanto avvenuto in passato, la leadership a Trump gliel’hanno data gli elettori, lui non aveva competenza politica, né carisma, né la capacità di convinzione su un suo programma originale, ha solo interpretato il sentimento del popolo americano. Dice infatti: “I am your voice”. Non c’è dubbio che anche l’elezione di Trump sia un elemento - non il solo, ma certamente il più importante - che rafforza il vento che spira in tutto il mondo contro i sistemi di potere che fin’ora ci hanno governato.
Con il suo atteggiamento contro gli establishment di tutti gli Stati americani, contro la globalizzazione e contro gli immigrati e le loro famiglie, certamente rafforza i movimenti e i partiti che in Europa si oppongono alle classi dirigenti dei loro paesi. Rafforza Grillo, la Le Pen, la lega di Salvini, Orban in Ungheria, Hofer in Austria e tutti i partiti inglesi che hanno determinato la Brexit e quelli tedeschi che insidiano la cancelliera Angela Merkel. Soprattutto il fatto che Trump si sia conquistata la leadership direttamente contro tutti i poteri forti, compreso quelli del suo partito, e solo con l’appoggio del popolo, alimenta quel populismo che ormai sta dilagando in tutto l’Occidente. Diverse sono le cause della grande trasformazione dei sistemi politici tradizionali e del diffondersi dell’anti-establishment e dell’antipolitica, di cui l’elezione di Trump non è che una conseguenza.
Un certo numero di commentatori la fanno risalire alla caduta del muro di Berlino: in questa sede mi limiterò ad individuarne alcune cause riferite soprattutto al nostro Paese. La fine della guerra fredda, la globalizzazione, lo sviluppo delle tecnologie di comunicazione di massa, i vincoli economici e della finanza pubblica imposti dalla costruzione europea, sono stati gli elementi principali della trasformazione in tutti i Paesi europei. In particolare in Italia, dagli anni 1992/93 (tangentopoli) in poi, c’è stata anche una perdita di rappresentatività dei nostri partiti seguita dall’impossibilità degli stessi a sopportare la voragine di risorse necessarie alla loro sopravvivenza. Ovviamente si erano abituati a spendere troppo! La dimostrazione è stata che il successo elettorale del 1994 del nuovo partito di Berlusconi fu determinato dalla sua capacità economica messa in gioco, e oggi, non appena l’ex cavaliere ha chiuso i cordoni della borsa, il partito (Forza Italia) è crollato al 12%. A tutto ciò si aggiunga anche la corruzione diffusasi nella burocrazia che ha creato come conseguenza costi insopportabili per far funzionare l’apparato pubblico. Ad onor del vero ci sono state anche cause oggettive: la crisi economica mondiale da cui l’Europa stenta ad uscire e la notevole trasformazione della società che hanno fatto perdere ai partiti quella carica vitale di quando si erano formati nell’immediato dopoguerra. Il tramonto dei partiti e la riemersione periodica di movimenti qualificati come “antipolitici” determinano, a mio avviso, il grave pericolo di sostituire la democrazia elettorale-rappresentativa con strane forme di partecipazione diretta della cittadinanza che affievoliscono la responsabilizzazione dei rappresentanti con il potere di controllo solo da parte dei rappresentati. Il forte vento di antipolitica che si è abbattuto su tutto l’Occidente proviene soprattutto dalla eccessiva disuguaglianza causata dal neoliberismo che ha creato larghe sacche di dissenso e conflitti sociali su cui fanno presa movimenti sociopolitici che si contrappongono ai partiti tradizionali.
Ma allora qual è un sistema ideale a cui aspirare per superare questo tipo di organizzazione capitalista che alimenta le diseguaglianze - dove dei poveri, dei deboli e degli esclusi nessuno si interessa - e che finalmente miri ad una maggiore distribuzione della ricchezza? Per ora, visto il misero fallimento del comunismo, non mi sembra ci siano soluzioni certe e programmi politici credibili per proporre una terza via praticabile, al di là di qualche “bla bla bla” elettoralistico. Per fortuna ci sono alcuni grandi personaggi che hanno profetizzato una società basata sull’amore: il riferimento a Gesù Cristo è scontato, ma ce ne sono stati anche molti altri, purtroppo tutti sempre inascoltati. Uno di questi, ricordato anche da papa Francesco nel suo discorso ai “movimenti popolari” del 5 novembre scorso, fu Martin Luther King, che diceva:

«Quando ti elevi al livello dell’amore, della sua grande bellezza e potere, l’unica cosa che cerchi di sconfiggere sono i sistemi maligni. Le persone che sono intrappolate da quel sistema le ami, però cerchi di sconfiggere quel sistema […] Odio per odio intensifica solo l’esistenza dell’odio e del male nell’universo. Se io ti colpisco e tu mi colpisci, e ti restituisco il colpo e tu mi restituisci il colpo, e così di seguito, è evidente che si continua all’infinito. Semplicemente non finisce mai. Da qualche parte, qualcuno deve avere un po’ di buon senso, e quella è la persona forte. La persona forte è la persona che è capace di spezzare la catena dell’odio, la catena del male»

Ed ora veniamo a noi. Il risultato del nostro referendum confermativo sulla riforma costituzionale del 4 dicembre ha sancito la grave sconfitta del Si con 18 punti percentuali di scarto (Si 40,89% No 59,11%). Avevo previsto che la consultazione, più che essere basata sul merito delle modifiche della Costituzione, sarebbe diventata la cartina di tornasole del grado di gradimento/rifiuto di Renzi, e così è stato. Ovviamente Renzi ha preso atto della grave sconfitta e si è dimesso da capo del Governo. Considerazione personale: ma valeva la pena di personalizzare e drammatizzare così pesantemente questa riforma costituzionale, con tutti i problemi – in alcuni casi di sopravvivenza – che abbiamo? Ai posteri l’ardua sentenza.

Gian Paolo Di Raimondo – Roma 12 dicembre 2016