A COSA SERVE LA GUERRA?

 

 

 

 

 

Il presidente colombiano, Juan Manuel Santos, insieme a Raúl Castro

e al capo delle FARC, Timoleón Jiménez, alias Timochenko.

 

 

Papa Francesco «si compiace della notizia della conclusione delle negoziazioni tra il Governo e le FARC-EP,

al termine dell’intenso processo svolto negli ultimi anni, e intende ribadire il Suo appoggio all’obiettivo di raggiungere

 la concordia e la riconciliazione di tutto il popolo colombiano, alla luce dei diritti umani e dei valori cristiani

 che si trovano al centro della cultura latinoamericana»

 

 

 

Il 26 settembre scorso il mondo ha esultato nell’apprendere che era stato firmato l’accordo di pace tra il governo della Colombia e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Finalmente si concludeva la trattativa durata quasi quattro anni, sotto gli auspici del regime di Cuba e la partecipazione anche di papa Francesco, per porre fine al conflitto armato più antico dell’Emisfero Occidentale durato 52 anni con almeno 220 mila morti, 45 mila dispersi e quasi 7 milioni di sfollati.
Quest’evento mi ha colpito, dantomi l’opportunità di meditare sull’inutilità delle guerre: era proprio necessario arrivare a una simile catastrofe prima di accorgersi che si poteva trattare? Ma purtroppo non era finita. Il 2 ottobre successivo, nel referendum indetto al fine di ratificare il trattato firmato per deporre le armi, il popolo colombiano ha votato NO alla pace. Ma allora è proprio vero che l’umanità non potrà mai porre fine alla guerra fino a quando la guerra non porrà fine all’umanità. Fermiamoci un attimo sulla Colombia per cercare di capire perché la maggioranza del popolo abbia detto NO alla pace e, da questo esempio, allarghiamoci su un discorso più generale sulla guerra e sulla pace.
Queste alcune motivazioni della vittoria del NO dichiarate dagli analisti: una delle cause potrebbe essere l’astensionismo (oltre il 60%), un’altra le troppe condizioni di favore concesse alle Farc, un’altra il fatto che chi ha votato non ha vissuto la guerra sulla propria pelle ma l’ha vista solo in televisione (gli orrori delle guerra li hanno sofferti soprattutto le aree rurali), un’altra ancora che l’unico modo di terminare il conflitto sia quello di distruggere militarmente le Farc. Vi sembrano spiegazioni sensate?
A me no. Come si fa a non andare a votare per un simile quesito: scegliere tra la guerra e la pace? La pace non ha prezzo, non si possono misurare col bilancino le condizioni concesse alle Farc che sono derivate da una trattativa durata 4 anni. Ma per scegliere di vivere in pace bisogna veramente essere stati sotto le bombe? E infine, ma come si può considerare, dopo 52 anni di guerra, che per porvi fine sia necessario continuarla. Quanto sono appropriate in questo senso le parole di Leone Tolstoj: "Come non si può spegnere il fuoco con il fuoco, nè asciugare l'acqua con l'acqua, così non si può eliminare la violenza con la violenza".
Allora si deve concludere che il problema sia proprio quello che la guerra è parte inseparabile della vita dell’umanità e che non si protrà mai liberarsene. E’ brutto ammetterlo, ma non si può negare l’evidenza: il genere umano deve sempre convivere con l’eterna lotta tra il bene e il male. Infatti, sebbene nei secoli ci sia stata una nutrita schiera di pacifisti, le guerre non si è riusciti ad eliminarle e forse non ci si riuscirà mai. Al massimo si riesce a malapena a sospenderle per qualche anno. Mi ha colpito una bella frase di uno storico greco del V secolo a.C., Erodoto: “Non esiste uomo folle al punto di preferire la guerra alla pace. In pace i figli seppelliscono i padri, in guerra sono invece i padri a seppellire i figli”.
Eppure i folli esistono e come! Per noi cristiani, stare tra quelli che sostengono le guerre, addirittura significa contravvenire all’insegnamento di Gesù Cristo: “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. Sicuramente nessuno può essere considerato più pacifista di Lui se è riuscito anche a dire: “Voi avete udito che fu detto: ‘Occhio per occhio e dente per dente’. Ma io vi dico: non contrastate il malvagio; anzi, se uno ti percuote sulla guancia destra, porgigli anche l’altra; e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello. Se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due”.
Nonostante, prima e dopo Cristo, grandi personaggi si siano battuti per diffondere la pace nel mondo, i risultati sono stati deludendi se non addirittura nulli. Prendiamo, ad esempio, ciò che le grandi nazioni hanno scritto nel preambolo allo Statuto dell’ONU: “
Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all'umanità, a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell'uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella uguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grandi e piccole”.
L’ONU, dagli anni dalla sua costituzione ad oggi, è riuscita a portare la pace nei tanti conflitti sparsi in tutta la terra? Molto raramente; tanto è vero che papa Francesco è dovuto intervenire per denunciare che nel mondo è in atto una terza guerra mondiale. E allora cosa si può fare per evitare quello che dicevo in apertura: che l’umanità e la guerra finiranno, ma insieme. Forse l’unico antidoto alla guerra sono i valori spirituali che purtroppo abbiamo relegato in fondo alla scala delle priorità che condizionano il vivere insieme, come sostiene Ralph Bunche (premio Nobel per la pace nel 1950): "Grazie al loro genio scientifico, gli uomini hanno trasformato il mondo. Hanno sfruttato la natura e prodotto grandi civiltà; ma non hanno mai realmente imparato a vivere assieme. Hanno creato soprattutto dei valori materialistici e i valori spirituali sono stati relegati sullo sfondo. Nell'era atomica, questa potrebbe rivelarsi la debolezza fatale dell'umanità".
Allora bisogna assolutamente imparare a vivere assieme e lo dobbiamo fare partendo dalla famiglia e in questo senso, per andare in questa direzione, potranno aiutarci le parole di San Giovanni Paolo II: "La pace può essere soltanto il frutto di un cambiamento spirituale, che inizia nel cuore di ogni essere umano e che si diffonde attraverso le comunità. La prima di queste è la famiglia". Anche papa Benedetto ha ribadito con forza nel suo primo libro su Gesù che “La discordia con Dio è il punto di partenza di tutti gli avvelenamenti dell’uomo; il suo superamento costituisce il presupposto fondamentale della pace nel mondo. Solo l’uomo riconciliato con Dio può essere riconciliato e in armonia anche con se stesso, e solo l’uomo riconciliato con Dio e con se stesso può portare la pace intorno a sé e in tutto il mondo”.
Anche in ambito laico, sulla scia degli insegnamenti di Gandhi o di Martin Luther King o di Nelson Mandela, sta penetrando la convinzione che la pace non sia solo la mèta di un obiettivo di autentica liberazione, ma anche il metodo da seguire passo dopo passo, partendo dalle singole persone, proseguendo dalla famiglia e dalle piccole comunità, per arrivare alla convivenza pacifica delle nazioni, speriamo anche noi che sia così e … mettiamoci in cammino! Per chiudere con una buona notizia è doveroso segnalare che il Nobel per la pace quast’anno è stato assegnato proprio al Presidente colombiano Santos. Penso sia un segnale ben augurante.

 

                               Roma, 1 novembre 2016               Gian Paolo Di Raimondo