SCIENZA E FEDE

NON ESISTE ALCUN CONFLITTO

 

“La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede […] secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede,

 perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio” (Gaudium et spes, 36)

 

 


 


 

 

 

 

Giovanni Paolo II ha dedicato gran parte della sua attività magisteriale per ristabilire nuove condizioni di dialogo critico e costruttivo fra la Chiesa e la comunità scientifica. Lo dimostrano i suoi numerosi discorsi (almeno una trentina) sia nei convegni scientifici internazionali che alla Pontificia Accademia delle Scienze, i documenti più o meno ufficiali (lettere, esortazioni e costituzioni apostoliche) e, soprattutto, l’Enciclica Fides et Ratio. Nel suo lungo pontificato, infatti, dimostrò grande interesse per l’intera questione del ruolo della scienza nel mondo moderno in generale, e del rapporto tra scienza e fede in particolare. Ebbe sempre a cuore la continuazione e lo sviluppo della Pontificia Accademia delle Scienze in linea con la felice intuizione del suo predecessore Pio XI che l’aveva rifondata, ma con un’enfasi maggiore sui problemi umani, morali e spirituali del nostro tempo. Il suo interesse per l’Accademia si è dimostrato in tali e tanti modi e in così tante occasioni, pubbliche e private, che il riassumere in modo esauriente i suoi insegnamenti sull’argomento è di fatto impossibile. Basti pensare che il Papa ebbe trentasei incontri con l’Accademia e fece altrettanti discorsi in cui affrontò interessanti argomenti inerenti al ruolo e agli obiettivi che gli Accademici dovevano porsi secondo la sua visione, primo fra tutti riesaminare la questione di Galileo, dopo aver espresso il rincrescimento per come il grande scienziato era stato trattato dalla Chiesa. Inoltre, pose l’accento sulla necessità per la scienza di proteggere l’ambiente e contribuire a combattere la povertà nei paesi in via di sviluppo e tornò ripetutamente sul tema della “Scienza per la Pace”.
Il 31 ottobre 1992 Giovanni Paolo II ricevette in udienza la Pontificia Accademia delle Scienze, che presentò al Santo Padre le conclusioni raggiunte dalla “Commissione per lo studio della controversia tolemaica-copernicana”.

A questo punto mi piace riportare un passo storico di Giovanni Paolo II per definire la compatibilità tra scienza e fede: Se scienza e fede tendono al raggiungimento di vere verità, non possono entrare in conflitto tra loro. Con questo presupposto riconciliò il mondo della fede con quello della scienza dichiarando che essi entrarono in conflitto solo per false interpretazioni di verità; la Bibbia non è un testo scientifico, ma un testo di fede. E Galileo “ci ha liberato definitivamente dalla tirannia del letteralismo biblico”, quindi secondo il Papa, Galileo fu una fortuna per la Chiesa. Si deve porre fine ad usare le teorie scientifiche per negare o affermare verità di fede e a considerare i concetti teologici per invadere il campo delle scienze. Scienza e fede sono come le due ali che fanno volare un uccello.

Il 22 ottobre 1996, questa volta in forma di messaggio, in occasione del sessantesimo anniversario della sua rifondazione, Giovanni Paolo II ancora una volta scelse l’Accademia delle Scienze quale interlocutore qualificato per esporre alcune sue riflessioni sulla teoria dell’evoluzione. Ritornando e sviluppando alcune delle osservazioni fatte dal suo predecessore Pio XII nell’enciclica Humani generis, aggiunse che “nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione, una mera ipotesi”, riconoscendo quindi che “questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere”, riuscendo quindi a imporsi anche all’attenzione di teologi ed esperti biblici. Con questi coraggiosi interventi di Giovanni Paolo II e altrettante prese di posizione di illuminati scienziati si è potuto superare – spero definitivamente – il criterio che tra scienza e fede esistessero due visioni del mondo incompatibili e destinate ad un’inevitabile conflittualità. Riconosciutane invece la non conflittualità con la scienza, la fede cristiana può rappresentarne una forma di completamento come prospettiva metafisica che dà una spiegazione della razionalità del cosmo e del senso ultimo delle cose.

Tra quelli che la pensano così c’è Werner Karl Heisenberg che è stato un fisico tedesco, premio Nobel per la fisica nel 1932 e uno dei fondatori della meccanica quantistica. Egli sostiene: “Se all’uomo occidentale chiediamo cosa sia bene e cosa sia male, che cosa ha senso perseguire e che cosa respingere, le sue risposte rifletteranno le norme etiche del cristianesimo, anche quando non frequenti più da lungo tempo le immagini e le allegorie del cristianesimo. Se la forza che regge questa costruzione spirituale dovesse venir meno, l’umanità sperimenterebbe spaventevoli prove, più spaventevoli ancora dei campi di concentramento e della bomba atomica”. E c’è anche chi, come Louis Pasteur, si spinge ad affermare: “Poca scienza allontana da Dio, molta scienza riconduce a Lui”.

Mi piace concludere questa mia breve analisi sulla situazione attuale relativa al rapporto tra scienza e fede e del modesto tentativo di spiegarne la non conflittualità riportando una frase della lettera di Giovanni Paolo II a padre George V. Coyne, S.J., già direttore della Specola vaticana, del 1° giugno 1988: “La scienza può purificare la religione dall’errore e dalla superstizione; la religione può purificare la scienza dall’idolatria e dai falsi assoluti. Ciascuna può aiutare l’altra ad entrare in un mondo più ampio, un mondo in cui possono prosperare entrambe…”. Fin quando gli uomini religiosi e gli scienziati riusciranno a seguire questo modo di rapportarsi, “casi Galileo” non si ripeteranno mai più nel futuro. E questo sarà un bene per tutti, credenti e non credenti.

 

 

Roma 1° giugno 2016                                                                                                Gian Paolo Di Raimondo