DON LUIGI DI LIEGRO
 

La regola resterà questa: penetrare il Vangelo perché questo penetri nella vita”

 

 


 

 

 

 

 

Il Papa apre la Porta Santa della carità

“l’invito alla speranza è che la Chiesa di Roma sia sempre disponibile all’accoglienza”

 

 

Come dimenticare don Luigi Di Liegro quale fondatore e primo direttore della Caritas di Roma, la sua opera per i poveri, le sue intuizioni sul degrado crescente delle periferie di una grande città, le sue premonizioni sull’immigrazione e, soprattutto, la forza con cui ha sempre considerato il Vangelo quale unico suo orientamento di vita. Nel 2008 ho scritto un articolo su don Luigi e mi piace riportarne le parti più importanti per dimostrarne l’attualità: ancora oggi a Roma, dal punto di vista sociale non è cambiato nulla, anzi qualcosa è pure peggiorata dal tempo in cui viveva “L’uomo della carità”. Per fortuna è cambiato l’atteggiamento della Chiesa, lo dimostra la ‘Lettera alla Città’ presentata il 9 novembre 2015 nella Basilica di San Giovanni in Laterano, dal cardinale vicario per la diocesi di Roma, Agostino Vallini.

Chissà quanti saranno i lettori di questa rivista che hanno visto la fiction televisiva “L’uomo della carità” su don Luigi Di Liegro trasmessa più volte sulle reti Mediaset. Sono state un vero disastro dello share nazionale, giustificato, forse, dal fatto che don Luigi Di Liegro non fosse sufficientemente conosciuto a livello nazionale ma rappresentasse solo un patrimonio etico-culturale romano. Mi sembra ovvio che ogni sacerdote che si sia distinto per la sua attività nel sociale, come ad esempio don Lorenzo Milani, don Zeno Saltini o i martiri delle mafie don Pino Puglisi e don Giuseppe Diana abbiano un primo salutare impatto nelle comunità cristiane e laiche più vicine a dove sono vissuti ed hanno operato; presto però, come il “granello di senapa”, il più piccolo di tutti i semi diventa un albero, così gli esempi di umili personaggi mossi da autentico sentimento cristiano prendono corpo, si espandono ed, entrando a far parte della nostra storia nazionale, diventano modelli stabili della nostra vita quotidiana. … Mi piace iniziare a presentare la mia visione dell’uomo e sacerdote don Luigi non come un santo ma solo come un prete che ha fatto il prete, applicando il Vangelo che c’insegna a vedere Dio nel fratello e indica nell’amore per il prossimo lo stesso amore di Dio; non si può amare Dio se non si ama il prossimo. Purtroppo questo concetto è talmente disatteso dalle comunità cristiane che quando una persona come don Luigi ne fa l’oggetto principale della sua vita attira su di sé gli strali dei “benpensanti” e spesso addirittura anche della stessa gerarchia ecclesiastica. Ecco perché simili personaggi, di cui per fortuna la Chiesa abbonda, appaiono un po’ santi, un po’ rivoluzionari. Tutti noi dovremmo arrivare a considerare, seguendo l’esempio di don Luigi, i barboni, i malati appariscenti (portatori di AIDS, malati mentali o terminali), i poveri, gli sfrattati, i detenuti, gli utenti delle mense sociali e naturalmente gli immigrati e i nomadi non colpevoli della loro situazione di disagio, ma vittime spesso di ingiustizie sociali o di violenze politiche perpetrate contro i diritti civili dei più deboli. Don Luigi insisteva sul fatto che la Caritas non fosse semplicemente erogatrice di assistenza, ma dovesse tendere a liberare le persone dal bisogno e a renderle protagoniste della propria vita. Il fatto che fosse considerato un “prete scomodo” deriva da un suo principio che metteva alla base di tutte le sue attività caritatevoli: “Non si può amare a distanza, restando fuori dalla mischia, senza sporcarsi le mani, ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Con questo principio la sua attività, le sue denunce e le sue realizzazioni diventavano tutte dirompenti, sia quando scagliava “macigni” contro il malaffare, le inefficienze e le mancanze del potere politico romano, che quando denunciava il “sacco di Roma” ad opera di palazzinari, politici corrotti e gerarchie ecclesiastiche distratte. Le opere realizzate da don Luigi sconvolsero la classe “bene” romana, come l’apertura di una Casa Famiglia per malati di AIDS nel parco di Villa Glori ai Parioli nel 1988, o la battaglia intrapresa nell’inverno 1990-91 per migliorare le condizioni disumane di oltre mille immigrati accampati nell’ex Pastificio Pantanella e gli procurarono attacchi violenti, insulti, botte e minacce di morte dalle squadracce fasciste. “Lo sa - confidò una volta Don Luigi ad un giornalista - che quando vado in autobus o in metropolitana devo mettermi gli occhiali da sole? E’ per non essere riconosciuto: spesso sono stato insultato e quasi aggredito”. Soprattutto la Casa Famiglia fu osteggiata violentemente dagli abitanti del ricco quartiere Parioli, spaventati all’idea di ritrovarsi gli “appestati” e i drogati sotto casa. … Molte furono le altre opere che nacquero con l’aiuto di migliaia di volontari: ostelli, mense, ambulatori, ma non è mia intenzione dilungarmi ad elencarle tutte, anche perché per comprendere appieno l’importanza delle realizzazioni bisogna vivere a contatto con chi giornalmente le utilizza e con esse migliora la qualità della sua vita. Mi limiterò a focalizzare l’attenzione del lettore sul messaggio profetico che don Luigi ci ha trasmesso. Se profeta, etimologicamente, è colui che “parla prima” degli altri, egli fu profetico sui mali di Roma, sull’AIDS, sull’immigrazione, sul disagio giovanile. … Ritengo che per noi cristiani e magari anche volontari ed operatori Caritas far sì che dell’insegnamento di don Luigi, semplice prete che ha voluto fare fino in fondo solo il prete, ci restino due principi basilari: che la Carità (quella con la C maiuscola) deve essere considerata alla stessa stregua della Parola di Cristo e dei Sacramenti e non un “vago sentimento dell’anima”, concetto che è stato autorevolmente confermato da papa Benedetto nella sua Enciclica “Deus caritas est” ed inoltre che il vero Amore presuppone la condivisione.

La dimostrazione che, a quasi vent’anni dalla morte di don Luigi, il suo ricordo oggi sia ancora vivo nella comunità cattolica romana è data dalla continuazione della sua opera nella Caritas diocesana che si distingue per la costante vicinanza a quelli che soffrono, a quelli scartati nella società. Recentemente, poi, con l’apertura della Porta Santa della Carità nell’Ostello “Don Luigi Di Liegro” il 18 dicembre scorso, anche papa Francesco ha voluto dimostrare che l’abbraccio della misericordia ai poveri si realizza a Roma, in buona parte, nella Caritas avviata da don Luigi. Il Papa che ama definirsi Vescovo di Roma, con questo gesto, ha lanciato un appello a tutti noi romani perché, per avvicinarsi alla grazia di Dio “dobbiamo avvicinarci agli scartati, ai poveri, a quelli che hanno più bisogno, perché su questo avvicinarsi tutti noi saremo giudicati”. Poi ha chiesto “che il Signore oggi, aprendo questa porta, dia questa grazia a tutta Roma, ad ogni abitante di Roma, per poter andare avanti in quell’abbraccio della misericordia, dove il padre prende il figlio ferito, ma il ferito è il padre: Dio è ferito d’amore, e per questo è capace di salvarci tutti. Che il Signore ci dia questa grazia”. Queste le ultime parole del Papa nell’omelia della Celebrazione Eucaristica dopo l’apertura della Porta Santa della carità. E queste le considerazioni personali a conclusione del breve ricordo di don Luigi:

1.      Sia il Papa che don Luigi hanno lo sguardo rivolto agli esclusi (scartati) dalla società cosiddetta “bene”.

2.      Le forme di carità enunciate da entrambi per lasciarsi abbracciare dalla misericordia del Signore sono le stesse.

Voglio chiudere con la bella formulazione del concetto di carità che don Luigi amava ripetere:

“La carità non è il disfarsi dei vestiti usati o i pochi spiccioli che diamo ai mendicanti, per mettere a posto la nostra coscienza. La carità deve essere l’amore inteso come condivisione del disagio dell’altro, disponibilità, dedicare un po’ del nostro tempo a coloro che hanno bisogno di aiuto, sia esso materiale o morale o spirituale. Non è necessario essere ricchi per aiutare gli altri, a volte, basta una stretta di mano un po’ più forte, basta un sorriso, una carezza a un bambino in difficoltà. La carità è cominciare ad amare quelli che ci sono più vicini, quelli più indifesi, come i bambini e gli anziani, che hanno particolarmente bisogno del nostro aiuto, per, poi, allargare questo amore a una famiglia più grande che è quella degli ‘ultimi’ e dei ‘senza voce’”.

Certo che se don Luigi fosse vissuto in questo periodo storico della Chiesa, quante delusioni e quanti dispiaceri avrebbe evitato e quante soddisfazioni in più avrebbe avuto nel glorificare e vivere il Vangelo come ci indica quasi giornalmente il Papa!

 

Roma, 15 gennaio 2016                                                                                                                 Gian Paolo Di Raimondo