CRISTIANESIMO, FILOSOFIA E SCIENZA

 

 


 

 

 

 


 

L’uso della ragione in tutte le sue manifestazioni di ricerca della verità

 

 

Nell’ambito della relazione tra scienza e fede, di cui mi sono interessato negli ultimi due anni, ho trovato necessario approfondire anche il rapporto tra il cristianesimo e la filosofia, in modo da completare il quadro della nostra religione in relazione all’uso della ragione in tutte le sue manifestazioni di ricerca della verità. Il Concilio Vaticano II si è espresso chiaramente sulle manifestazioni del pensiero: “L’uomo, applicandosi allo studio di discipline quali la filosofia, la storia, la matematica e le scienze naturali, contribuisce a elevare la situazione culturale e sociale dell’umanità” (Gaudium et spes, 57). Il contributo alla pacificazione tra ragione e fede fu dato soprattutto dai Papi del XX secolo che hanno osservato – chi più, chi meno – che a livello di principio le due verità non possono mai contraddirsi, e hanno reso evidente che, anche laddove ciò accada, questo dipende da una lettura erronea del Libro della Natura o del Libro della Rivelazione Divina. Giovanni Paolo II ha poi posto fine a qualsiasi possibilità di ulteriori contrasti tra i due mondi, osservando più dettagliatamente che il rapporto tra fede e ragione è meglio inteso come un cerchio: fede e ragione sono come due ali sulle quali lo spirito umano s’innalza alla contemplazione della verità. Scriveva, infatti, Giovanni Paolo II nella Fides et ratio: «Sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l’una di fronte all’altra. La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale. È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggiore incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia innanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere» (Fides et ratio, n. 48). A conferma del ravvicinamento del cristianesimo alla filosofia e alla scienza e viceversa, determinatosi progressivamente nei secoli e completatosi nell’ultimo, mi piace ricordare che tanti sono stati i religiosi filosofi e scienziati. Ovviamente i primi seguaci del cristianesimo ebbero una forte coscienza critica (vedi alcuni Padri della Chiesa) verso la filosofia greca, in quanto preoccupati per il pericolo di eresia che essa poteva indurre nei confronti della fede, sulla scorta della predicazione di San Paolo. Ciò nonostante anche i Padri della Chiesa tennero a confrontare la loro fede con i requisiti della ragione, puntando alla religione come a una forma di conoscenza, e a Dio come Logos. Questo trovava fondamento, secondo i Padri, nella sintesi del Vangelo di Giovanni, dove il Logos, all’origine dell’ordine razionale del mondo, è sapienza di Dio in ogni realtà, attraverso cui tutto è stato fatto. La filosofia cristiana nasce proprio dalla religione cristiana. La religione è l’adesione a una verità rivelataci dall’alto e, come tale, sembrerebbe escluderne la ricerca e quindi consistere esclusivamente nell’accettazione di tale verità. Quando, però, ci si chiede il suo significato, nasce il bisogno della ricerca, ricerca che viene portata avanti proprio dalla filosofia. Anche per la scienza, l’apice del vero conflitto con la fede si ebbe nell’Illuminismo del XVIII secolo che considerava la religione nemica della scienza e gli scienziati si sentivano minacciati nella loro libertà d’indagine dalla cultura dominante sul piano politico, sociale, intellettuale e religioso rappresentata dal cristianesimo. Sul versante opposto le chiese (in particolare quella cattolica) si sentirono minacciate e reagirono arroccandosi a difesa delle proprie tradizioni, opponendosi tenacemente alle scienze, soprattutto nei casi in cui queste – come accadde con l’evoluzionismo darwiniano – sembravano attaccare alle radici l’impalcatura teologica cristiana. Nel tempo quest’atteggiamento di reciproca chiusura si è progressivamente superato, salvo per alcune frange di fondamentalismo religioso. Oggi il rapporto tra scienza e fede è entrato in una fase nuova, positiva e costruttiva, lasciandosi alle spalle il retaggio della reciproca ostilità, anche se l’inerzia degli stereotipi tradizionali continua, purtroppo, a lasciare qualche ombra. Sono convinto che un grande contributo alla pacificazione l’abbiano dato gli scienziati e i Papi che hanno indicato alla propria parte il metodo nuovo di non invasione dei rispettivi campi d’azione e il rispetto reciproco. Proprio sull’evoluzionismo si può misurare il gran passo della nostra Chiesa nell’avvicinamento alla scienza. Il 22 ottobre 1996, questa volta in forma di messaggio in occasione del sessantesimo anniversario della sua rifondazione, Giovanni Paolo II ancora una volta scelse l’Accademia delle Scienze quale interlocutore qualificato per esporre alcune sue riflessioni sulla teoria dell’evoluzione. Ritornando e sviluppando alcune delle osservazioni fatte dal suo predecessore Pio XII nell’enciclica Humani generis, aggiunse che “nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione, una mera ipotesi”, riconoscendo quindi che “questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere”, riuscendo quindi a imporsi anche all’attenzione di teologi ed esperti biblici. Una tangibile conseguenza di quel messaggio del Papa, che stiamo toccando con mano, è quella che molte Università cattoliche hanno inserito nei loro programmi d’istruzione proprio la materia “Evoluzione e evoluzionismi”. Tra i numerosi scienziati sacerdoti cattolici, mi piace prendere ad esempio George V. Coyne, astronomo e gesuita statunitense, che è stato direttore della Specola Vaticana dal 1978 al 2006. Il suo nome è legato alla riabilitazione di Galileo Galilei e Charles Darwin da parte di Giovanni Paolo II. È tuttora a capo di un gruppo di ricercatori presso l'università dell'Arizona. Lo considero utile al proseguimento del ragionamento che ho intrapreso su quest’articolo, in quanto sostiene che L’immagine di Dio studiata dai teologi, nella misura in cui si sforza di giungere a una comprensione razionale della verità rivelata, va soggetta a tutte le evoluzioni del pensiero umano. E, pur riconoscendo che la verità rivelata ci è stata data in tempi determinati e attraverso persone particolari, la manifestazione, l’approfondimento e l’inculturazione di essa sono tuttavia in continuo progresso. Perciò, l’immagine attuale di Dio creatore deve rispondere ai concetti della cosmologia moderna. Infatti, poiché il dato rivelato viene recepito e si radica profondamente in relazione al modo di pensare, anche la comprensione di esso risulta soggetta a una certa evoluzione. Senza approfondire i contenuti teologici del pensiero di Coyne, penso che il concetto esposto si possa considerare certamente un evidente passo avanti nella costruzione del ponte che dovrà unire in futuro la Scienza alla Fede se si vogliono evitare altri “casi Galileo”. Purtroppo noi dovremo sempre superare qualche problema di compatibilità tra scienza e fede data la formulazione dogmatica della nostra dottrina cattolica. Il Magistero però ci evita le proliferazioni di interpretazioni delle Scritture: basti pensare a ciò che accade nell’Islam sull’esegesi del Corano. Poi, anche e soprattutto, a come il Magistero della Chiesa è garanzia della fede dei semplici. L’assenso al Magistero permette la salvezza a tutti (il criterio di giudizio non è l’intelligenza ma l’apertura del cuore). Infine, la Chiesa con il suo Magistero segue con competenza i risultati della ricerca scientifica e, conseguentemente, tramite il lavoro dei suoi esperti (della “Pontificia Accademia delle Scienze” e della “Specola vaticana”), ne aggiorna le interpretazioni teologiche per evitare i dannosi contrasti di un tempo tra scienza e fede che rendevano le due ricerche della verità incompatibili.

1° gennaio 2016                                                                                                                                                                                Gian Paolo Di Raimondo