ROMA SI DEVE SALVARE

 

 

 

 

«DÀMOSE DA FA!, VOLÈMOSE BENE, SEMO ROMANI»,

Giovanni Paolo II

 

 

La situazione di Roma è veramente messa male. Non solo le istituzioni sono in crisi ma tutto il contesto sociale risente del malessere diffuso nella città. Non voglio, in questa sede, elencare tutte le carenze strutturali e l’enorme ritardo nella dotazione e nell’ammodernamento di reti e infrastrutture che la nostra capitale deve sopportare rispetto alle altre capitali del mondo.

Mi sembra, altrettanto inutile, soffermarmi a ripetere ciò che ormai dibattono, quasi alla noia, i media nazionali sulla inadeguatezza della classe dirigente cittadina e sulla sua corruzione all’unisono con quella politica. Penso che i risultati dell’indagine della magistratura su mafia capitale e la crisi del Comune siano più che sufficienti a delineare il dramma che sta vivendo la città. Essendo un incallito ottimista di natura, voglio analizzare brevemente, invece, come la parte buona della società civile - laica e confessionale - si sta muovendo per recuperare il senso di comunità, di comunità vigile, uscire dall’isolamento e dall’indifferenza e dare una scossa alle istituzioni perché, partendo dalle periferie (come spesso ci ha indicato papa Francesco), si possa creare una catena di solidarietà, una comunità che rivendichi il proprio diritto a vivere decentemente.

Coloro che hanno più o meno la mia età ricorderanno certamente come don Luigi Di Liegro promosse negli anni settanta il famoso convegno sui mali di Roma intitolato “Responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di giustizia e di carità nella diocesi di Roma” e diede veramente la cosiddetta scossa alle gerarchie e alla politica di allora per invertire l’odiosa tendenza all’indifferenza. Oggi non ci sono più le periferie di allora, ma esiste una forte differenziazione del benessere, una gran parte di cittadini vive nel malessere, nella solitudine, nell’indigenza. La disoccupazione e la mancanza di adeguati servizi sociali aggrava certamente la situazione (piove sul bagnato!). Quindi si può asserire che dopo quaranta anni nulla è cambiato, anzi alcuni squilibri si sono pure aggravati. Si è dissolto nel nulla il disegno di una moderna programmazione territoriale e urbanistica, non si è risolta l’endemica insufficienza di abitazioni a basso canone e con taglio adatto a una maggiore pluralità di famiglie, con meno componenti e più anziani.

Negli ultimi decenni, anche con l’avvento di nuove leve di amministratori, i cambiamenti strutturali sono stati più lenti e meno incisivi del necessario, in alcuni casi addirittura insufficienti per adeguarsi alla moderna società globalizzata. Se ci si pone nel necessario confronto internazionale, Roma è in una posizione di bassa classifica in merito alla qualità della vita ed efficienza dei servizi; se proseguirà questo andazzo, il ritardo di ammodernamento delle reti e infrastrutture, oggi fuori standard, renderà sempre più insopportabile la vita in questa nostra meravigliosa città. Ma forse qualcosa si sta muovendo, anche la Chiesa sta cercando di contribuire al risanamento della città, come ai tempi di Di Liegro, intervenendo con le sue strutture centrali e periferiche per smuovere l’intera società civile cittadina: lo fa con la “Lettera alla Città” del cardinale vicario Agostino Vallini indirizzata non solo alla comunità ecclesiale ma anche alle istituzioni, ai cittadini, alle forze vive del territorio.

Il documento, frutto del lavoro di un anno e mezzo del Consiglio Pastorale diocesano presieduto dal cardinale Vallini, sarà presentato ai rappresentanti delle istituzioni, al mondo dell’università e della scuola, della società civile oltre che naturalmente a tutto il laicato cattolico romano nella basilica di San Giovanni in Laterano giovedì 5 novembre alle ore 19,30. Voglio sperare che i lettori romani di quest’articolo partecipino tutti. Ecco come il cardinale Vallini ha spiegato il significato della Lettera: “Tutto nasce da una riflessione sulla presenza e sulla responsabilità della Chiesa nella città. Una commissione del Consiglio era stata incaricata di preparare questo documento affinché la città potesse essere stimolata a rinascere, potesse avere una scossa”. Vallini prosegue nell’illustrare il senso dell’intervento della diocesi per far sentire l’attenzione della Chiesa che non ha mai smesso di manifestare concretamente la consapevolezza della responsabilità di “abitare” la Capitale e di prendersi cura della sua gente. La lettera non è una denuncia, ma “un’analisi della situazione attuale” con l’intento di “condividere gli affanni della città” e con l’invito a “ripartire dalle molte risorse religiose e civili presenti a Roma”. Mi soffermerò solo su quest’ultima frase di Vallini, per affermare una mia personale convinzione: basterebbe che i cittadini romani reagissero positivamente a questa scossa perché Roma si possa salvare. “Diamoci da fare! Siamo romani” diceva Giovanni Paolo II, “Facciamo incarnare il volto della misericordia nella vita della città”, dice papa Francesco alla vigilia del Giubileo straordinario.

Prendiamo esempio dai milanesi e da come si sono comportati in occasione dell’Expo; già qualcuno afferma che Milano è tornata ad essere la “capitale morale” d’Italia, mentre Roma dimostra di non avere sufficienti anticorpi. A dirlo è il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone. Io non ci credo, penso sia stata più una battuta di sprone che una seria constatazione. Certo Milano il 2 maggio mattina - in occasione dell’inaugurazione dell’Expo 2015 - dopo un pomeriggio di devastazione operata dai black bloc - si è rimboccata le maniche e ha reagito. Già dopo il passaggio dei cortei si vedevano persone in strada impegnate a fare pulizia: negozianti con la scopa in mano, dipendenti dei bar, semplici cittadini. Sabato mattina, al fianco dei dipendenti pubblici - un centinaio tra i tecnici dei Lavori Pubblici del Comune, gli operatori del Nucleo di intervento rapido e gli uomini dell’Amsa - sono scesi in strada anche tanti cittadini volontari, che si sono dati da fare per cancellare le scritte fatte con la vernice. Allo stesso modo non è stato accolto a Roma l’appello che ha lanciato Alessandro Gassman per reagire al degrado della città e all’inefficienza dell’Amministrazione comunale: "Roma sono io. Armiamoci di scopa, raccoglitore e busta per la mondezza e ripuliamo ognuno il proprio angoletto della città", non tutti hanno infatti accettato, anzi, le polemiche contro hanno subissato le buone intenzioni dell’attore.

Ora stiamo a vedere come si comporterà la cittadinanza a questo ultimo e autorevole messaggio che dovrebbe colpire ciascuno di noi cristiani nel sentimento di corresponsabilità per le difficoltà che sopportiamo assieme ai nostri fratelli. Io sono certo che la risposta sarà positiva e Roma si salverà.

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 1° novembre 2015

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