LA TENDENZA A ISOLARSI NON E’ BENE

 

 

 

 

 

 

 

La massima sventura è la solitudine, tant'è vero che il supremo conforto − la religione

− consiste nel trovare una compagnia che non falla, Dio.

Cesare Pavese (Il mestiere di vivere)

 

 

Stiamo vivendo un brutto periodo in cui si cerca di evitare la partecipazione a qualsiasi tipo di comunità. Isolarsi in se stessi non è più solo una patologia psichica, ma quasi una prassi determinata da una serie di fattori che in Italia hanno influito nella vita sociale più che in altri paesi occidentali: al massimo ci si rifugia nella propria famiglia. Chiusa la porta di casa, si chiude il mondo dei rapporti sociali. Ma cosa ha determinato tutto ciò? In primis lo strano rapporto creatosi con la burocrazia della Pubblica Amministrazione. Un rapporto diritti/doveri completamente sbilanciato a favore dei burocrati e dove il cittadino conta poco e niente. Ma non solo: la delusione verso l’appartenenza ad un qualsiasi partito politico, ad un sindacato o movimento aggregativo, in pratica il disamore per la partecipazione a ogni attività comunitaria, anche religiosa.

I parroci in genere si lamentano per la scarsa adesione, anche delle persone che frequentano assiduamente la Chiesa, alle attività che prevedono aggregazione, come le preghiere comuni, l’adorazione del SS. Sacramento, le conferenze, i gruppi operativi parrocchiali per l’assistenza ai bisognosi.

Fanno eccezione solo “i movimenti”, affiliazioni tra persone molto legate a particolari princìpi e rapporti rassicuranti, quasi dei clan, o come dice papa Francesco delle élites. Il fedele normalmente crede di potersi salvare da solo. Non c’è dubbio che l’attegiamento di isolamento ha contagiato tutte le attività del vivere sociale. E questo non è bene, né per la democrazia, né per l’essere cristiani. Una recente dimostrazione di questo tipo di atteggiamento si è avuta nel rifiuto di alcuni presidenti di Regione e sindaci ad accogliere i rifugiati politici che scappano dalle guerre per salvarsi la vita. E ugualmente è successo a livello europeo; il cardinale Angelo Bagnasco nei giorni scorsi ha fatto sentire la voce dei vescovi italiani in merito ai problemi dei migranti, chiamando in causa gli Organismi internazionali, come tempo fa, aveva fatto riferimento al senso cristiano dell’accoglienza, facendo propri gli inviti che papa Francesco ripetutamente rivolge richiamandosi al Vangelo.

Così l’appello all’accoglienza: “Chiediamo ai fedeli delle nostre Chiese, ai fratelli cristiani e a tutti di tenere aperto il cuore a questi fratelli e sorelle in umanità, così duramente provati e alla ricerca di una vita migliore e più sicura”. Inviti quasi sempre ignorati o, al massimo, solo usati per qualche dibattito giornalistico. E’ notizia recentissima che l’ONU e la Germania, finalmente si siano resi conto della gravità della situazione; purtroppo, l’accoglienza e la solidarietà verso il fratello che soffre non fa parte oggi del nostro vivere cristiano: peccato, ci siamo totalmente dimenticati di quello che predicava Gesù Cristo: Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie il giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,40-42). “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Mt 11,28).

Alessandro Gassman ha lanciato recentemente un accorato appello per reagire al degrado di Roma e all’inefficienza dell’Amministrazione comunale: "Roma sono io. Armiamoci di scopa, raccoglitore e busta per la mondezza e ripuliamo ognuno il proprio angoletto della città", non tutti hanno però accettato, anzi, le polemiche contrarie hanno subissato le buone intenzioni dell’attore. Dal fallimento di queste piccole iniziative, che richiedono un minimo di aggregazione sociale, si nota come il cittadino romano, ma più in generale l’italiano, sia restio a qualsiasi attività che preveda una forma associativa. Siamo così nauseati dalla corruzione che impera ormai in qualsiasi forma di comunità, (alcuni amministratori pubblici sono riusciti a rubare anche le poche risorse destinate agli extracomunitari) che perdiamo la fiducia in ogni tipo di governo della cosa pubblica. Le democrazie più mature della nostra ci insegnano, invece, che le comunità sono quelle che operano e decidono per il bene comune dei cittadini, dai livelli più piccoli, i quartieri delle città, ai Comuni, alle Regioni (Lander tedeschi, Cantoni svizzeri, Contee inglesi), allo Stato centrale.

E dal punto di vista religioso, almeno per il cristianesimo, il senso della comunità è al centro della nostra fede. Benedetto XVI nella sua Enciclica Spe Salvi spiega molto bene il significato della speranza nella salvezza. Nell’arco dei 50 paragrafi, il Pontefice illustra cosa sia la «speranza cristiana» e come essa possa salvare. Una speranza non individualista, ma comunitaria, come comunitaria è la vita cristiana perché discende direttamente dall’essere in comunione con Gesù ed attraverso di Lui con tutti i Fratelli. E papa Francesco, nell’omelia a Santa Marta del 29 gennaio di quest’anno, commentando la Lettera agli Ebrei, afferma che Gesù è “la via nuova e viva” che dobbiamo seguire “secondo la forma che Lui vuole”.

Perché ci sono forme sbagliate di vita cristiana. Ci sono dei “criteri per non seguire i modelli sbagliati. E uno di questi modelli sbagliati è privatizzare la salvezza”: “E’ vero, Gesù ci ha salvati tutti, ma non genericamente. Tutti, ma ognuno, con nome e cognome. E questa è la salvezza personale. Davvero io sono salvato, il Signore mi ha guardato, ha dato la sua vita per me, ha aperto questa porta, questa via nuova per me, e ognuno di noi può dire ‘Per me’. Ma c’è il pericolo di dimenticare che Lui ci ha salvato singolarmente, ma in un popolo. In un popolo. Sempre il Signore salva nel popolo. Dal momento che chiama Abramo, gli promette di fare un popolo. E il Signore ci salva in un popolo. Per questo l’autore di questa Lettera ci dice: ‘Prestiamo attenzione gli uni agli altri’. Non c’è una salvezza soltanto per me. Se io capisco la salvezza così, sbaglio; sbaglio strada. La privatizzazione della salvezza è una strada sbagliata … [i criteri per non privatizzare la salvezza sono tre] la fede in Gesù che ci purifica, la speranza che ci fa guardare le promesse e andare avanti, e la carità: cioè prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone Dio ci salva in un popolo, non nelle élites, che noi con le nostre filosofie o il nostro modo di capire la fede abbiamo fatto. E queste non sono le grazie di Dio”.

A questo punto una domanda è d’obbligo “si riuscirà, in breve tempo, a ridare il giusto spazio alla collettività e a ridefinire il ruolo e la libertà individuale nell’ambito dell’impegno collettivo”? Zygmunt Bauman nel suo libro “La solitudine del cittadino globale” indica prioritario che la politica ritrovi il suo spazio. E questo lo individua nell’antica “agorà”, luogo privato e pubblico al tempo stesso. Qui l’uomo occidentale potrà tornare a interrogarsi, e le sofferenze private potranno essere finalmente pensate e vissute come problemi condivisi, comuni e politici. Non dico che in assoluto abbia ragione e che il suo pensiero teorico possa attuarsi sic et simpliciter, ma penso che dovrebbe essere un argomento da mettere all’ordine del giorno della politica in termini urgenti.

Altro suggerimento per la politica è quello, a mio avviso, di togliersi di dosso lo stato di soggezione verso la burocrazia e, finalmente, avviare un serio programma di semplificazione della P.A. con l’uso di nuovi modelli di gestione e di governo della cosa pubblica. Speriamo che la legge delega di riforma della P.A. approvata definitivamente dal Senato il mese scorso apra la strada che porti infine ad un serio snellimento burocratico. Ultimo, solo in termini descrittivi, ma primo per importanza, combattere senza esclusione di colpi e tentennamenti la corruzione che oggi, come asserisce Alfonso Sabella, assessore al Comune di Roma e ex magistrato, è radicata nella burocrazia più che nella politica.

Sul versante religioso basterà applicare, senza interpretazioni opportunistiche fuorvianti, le Sacre Scritture e i dettami del Magistero. Secondo Mons. Pietro Rossano (1923-1991) - vescovo ausiliare di Roma e rettore della Pontificia Università Lateranense - “Il cristiano non è un isolato tra gli uomini, ma sa di essere come un tralcio nella vite e un membro del corpo”. Questo l’insegnamento e la formazione continua da praticarsi nelle comunità di base, le parrocchie, per evitare che si formi tra i credenti un modo personale di “capire la fede” e si arrivi alla “privatizzazione della salvezza”.

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 1° settembre 2015

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