DA GALILEO AD OGGI

COME SI E’ EVOLUTO IL RAPPORTO TRA LA SCIENZA E LA FEDE

 

 

Dialogo sopra i due massimi sistemi (1632)

(Il libro di Galileo Galilei che gli provocò tanti guai)

 

 

Voglio tentare di dare un giudizio del tutto personale all’intero “caso Galileo”, basandomi soprattutto sulle letture, per motivi di studio, di una nutrita bibliografia - di autori laici ed ecclesiastici - tutta inerente al rapporto conflittuale creatosi tra lo scienziato e la Chiesa nel XVII secolo. Un tale approfondimento sugli avvenimenti, dal 1611 al 1633, mi consente di formulare un’idea personale di come si sia svolto il “caso”, quali siano stati gli errori commessi, quali le cause che li hanno generati e, soprattutto, perché sarà difficile si riproponga in futuro una simile guerra tra scienza e fede, anche in presenza di ulteriori problemi che nasceranno. Premetto che non pretendo d’interpretare la verità su quanto avvenuto, voglio solo esprimere una mia personalissima opinione che potrebbe anche essere inesatta su alcuni punti. Ma credo sia mio dovere manifestarla, se non altro, per rispetto di quella libertà di pensiero e di comunicazione di cui Galileo fu privato. Il maggior aiuto per questa ricerca, l’ho avuto da un libro pubblicato nel 2009 dal Vaticano, “I documenti del processo di Galileo Galilei” (1611 – 1741) e da due testi inerenti il “caso” di Annibale Fantoli, nonché da due articoli di “La Civiltà Cattolica”. In questa sede, dopo aver accennato agli avvenimenti di quel periodo, voglio evidenziare i progressi fatti dalla nostra Chiesa cattolica per evitare ulteriori guerre tra scienza e fede.

E veniamo agli errori commessi sul “caso Galileo”. Sono convinto che l’errore maggiore fu operato dalla Chiesa; quelli di Galileo sono state solo avventatezze veniali, dovute forse esclusivamente alla sua indole toscana puntigliosa, a voler andare sempre in fondo nelle dispute, a voler perorare la sua causa senza mollare nulla per strada. Insomma, non ha mai usato il “tacere per il buon vivere”, non è stato mai incline alla mediazione. Vedi, a questo proposito, il voler dimostrare, a tutti i costi, che tra la teoria copernicana da lui abbracciata e le Scritture non ci fosse contraddizione. E l’aver voluto mettere alla berlina  Urbano VIII nel suo Dialogo, ponendo in bocca il pensiero del Papa a Simplicio (l’aristotelico di basso profilo, scarso di acume e d’ingegno), solo per dare sfogo al suo carattere canzonatorio. Non aveva capito che con la Chiesa di quei tempi non si poteva scherzare! Gli errori della Chiesa, ai livelli più elevati, sono stati invece gravi, sia per voler portare a definizione un problema che invece sarebbe dovuto rimanere aperto per la propria carenza (se non addirittura assenza) di cultura scientifica e, soprattutto di apertura mentale (l’unico che ne dimostrò un po’ fu solo il cardinale Bellarmino), sia perché furono interessate Commissioni formate da persone di modesto livello culturale e poco preparate ad affrontare un simile argomento teologicamente e scientificamente così profondo. Di conseguenza, penso, che le decisioni prese dalla Chiesa tramite il Sant’Uffizio furono condizionate soprattutto da prese di posizione preconcette e risentimenti personali maturati in un lungo periodo precedente ai processi del 1616 e 1633: infatti le contestazioni a Galileo iniziarono fin dal 1611.

La Chiesa di allora aveva, purtroppo, un concetto delle Sacre Scritture che oggi possiamo definire addirittura “imperfetto”, in quanto riteneva che tutto quanto in esse riportato - anche i contesti tutt’altro che teologici - dovesse intendersi vero poiché ispirato da Dio. La Bibbia era considerata un libro di tuttologia. Ma anche questa non credo sia stata la causa scatenante il tanto odio per Galileo (altrimenti non si spiegherebbe perché un simile trattamento non sia stato riservato anche a Copernico che fu lo scopritore del sistema eliocentrico); come in tutti gli avvenimenti tramandatici dalla storia (e anche quelli che stiamo vivendo oggi), le tensioni e le guerre sono determinate principalmente dalle prese di posizione oltranziste degli uomini. Così, anche allora, il rancore per lo scienziato fu causato dal progressivo deterioramento dei rapporti personali, prima con i domenicani fiorentini, poi col Sant’Uffizio per arrivare alla fine ai Papi, principalmente, a Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini; a Roma “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”).

Anche se sono d’accordo con chi sostiene che il “caso Galileo” si potrà riproporre su altri innumerevoli ambiti su cui la scienza, con le sue scoperte, porrà interrogativi alla religione, e lo ha già fatto (per esempio con le teorie dell’evoluzionismo brillantemente assorbite dalla Chiesa di oggi), sono sufficientemente convinto che difficilmente si arriverà all’intensità della tensione raggiunta ai tempi di Galileo tra scienza e fede. Il perché di questa mia “quasi certezza”  è suffragata dalle seguenti due considerazioni:

·         La Chiesa si è preparata culturalmente ad affrontare l’evoluzione della ricerca scientifica e, con il Concilio Vaticano II, è più pronta ad affrontare le evoluzioni del pensiero umano. La strada dell’approfondimento dell’evoluzione scientifica la sta intraprendendo con serietà e decisione, ne sono la dimostrazione, ad alto livello, gli studi tecnici condotti dalla Pontificia Accademia delle Scienze e dalla Specola Vaticana e, a livello divulgativo, i corsi scientifici organizzati dalle tante Università cattoliche diffuse in tutto il mondo.

·         Da parte degli scienziati e, più in generale, dell’“intellighenzia” laica si è abbondantemente superato il tempo del post-illuminismo quando si pensava, in quasi tutti gli ambienti intellettuali, che la Chiesa rappresentasse un ostacolo al progresso scientifico e dimostrasse, in tutte le sue azioni, un oscurantismo dogmatico contrapposto all’autentica ricerca della verità.

Oggi si può, quindi, sperare addirittura ad un tipo di collaborazione tra scienza e fede e penso che il superamento della “guerra” di un tempo si sia anche potuta ottenere grazie al sacrificio di Galileo che ha difeso tenacemente le sue ricerche scientifiche e la libertà di enunciarle senza mai abbandonare la sua profonda fede cattolica.

 

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 1 ottobre  2014

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