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don Pino Pulcinelli

 
 
 

Occhio ai terreni paludosi!


 

Ogni giorno Berlusconi prosegue nella sua campagna di riconquista delle simpatie della Chiesa dopo il calo di feeling con la gerarchia ecclesiale e più in generale con l’intero mondo cattolico restati abbastanza frastornati per qualche dubbio sull’innocenza del “bunga bunga”. Dopo l’annuncio che il Governo nella prevista riforma fiscale ha in animo di realizzare finalmente il famoso “quoziente familiare”, la ripresentazione in Parlamento della proposta di legge sul “fine vita”, una forte e chiara presa di posizione con il suo no a “coppie gay e adozioni dei single”, è arrivato a sferrare addirittura un attacco alla scuola pubblica. Non c’è dubbio che nei cattolici non può che esserci la massima condivisione su tali annunci, purché non risultino essere solo annunci più di tipo elettorale che di prossima realizzazione, altro discorso è quello di accettare e condividere la critica alla scuola pubblica così come egli dice: “Gli insegnanti (delle scuole statali ndr) inculcano ai ragazzi valori diversi da quelli delle loro famiglie”. Critica esagerata, priva di fondamento e non condivisa dalle stesse scuole cattoliche. Anche se il giorno successivo, come ormai siamo abituati, con un comunicato di palazzo Chigi si puntualizza e parzialmente si rettifica la dichiarazione del Presidente in quanto “le parole pronunciate sono state travisate e rovesciate dalla sinistra”. Sull’argomento è dovuto intervenire il capo dei vescovi italiani che, in occasione di un incontro a Genova sul filosofo-teologo beato John Henry Newman, ha asserito con parole molto meditate, per evitare un benché minimo coinvolgimento nelle dichiarazioni di Berlusconi, che la Chiesa “ha molta stima e fiducia nella scuola, statale e non statale”, aggiungendo che per la Cei la difesa del ruolo delle scuole paritarie “non può mai avvenire a danno della scuola statale” e certe uscite imbarazzanti non fanno che danneggiare la richiesta di libertà scolastica. Così, infine scandisce il cardinale Bagnasco: “Ci sono tantissimi insegnanti e operatori che sappiamo si dedicano al proprio lavoro con grande generosità, impegno e competenza, sia nella scuola statale sia in quella non statale, il merito va a loro”. Questa la dimostrazione che la nota di palazzo Chigi del giorno prima con il mezzo chiarimento sulle parole pronunciate da Berlusconi non poteva bastare alla Cei.  Poi c’è il problema della legge sulle “dichiarazioni anticipate di trattamento” e qui, secondo me, sarebbe necessario affrontare il problema, che mi sembra appropriato definire terreno paludoso, con la massima disponibilità al confronto costruttivo con le opposizioni e i rappresentanti della vita civile per giungere ad una legge con il massimo del consenso parlamentare e del mondo cattolico e di quello laico; solo così si potranno evitare pericolose lacerazioni su un argomento tanto delicato a cui tutti noi cittadini siamo particolarmente sensibili. Confronto che in verità fin ora non ho visto, anzi … tutt’altro. La dimostrazione che l’argomento sia stato trattato dal Governo e dalla maggioranza con il solito sistema del fornire al Parlamento proposte di legge con pacchetti di norne precostituite da approvare a scatola chiusa è dato dalle numerose prese di posizione di autorevoli personaggi della società civile, di parlamentari (addirittura di un ministro) del Pdl e di molti cattolici sul fatto che il disegno di legge com’è articolato oggi presenta alcuni punti oscuri e molte lacune. Speriamo che ci sia il tempo, in assenza di posizioni troppo intransigenti, che nella discussione, come dice il sottosegretario Alfredo Mantovano, “non ci siano preclusioni alla modifica del testo, che dev’essere il più chiaro possibile, eliminando qualsiasi linguaggio nebuloso”. Speriamo! Altrimenti avrebbero ragione quei parlamentari anche di maggioranza – e non sono pochi – che sostengono di lasciare le cose come stanno evitando l’accanimento legislativo. Non voglio entrare nel merito dell’attuale proposta, dico solo che mi sembrano sensate le critiche che Ernesto Galli della Loggia fa all’attuale disegno di legge (vedi interventi sul “Corriere della Sera” del 25 febbraio e del 6 marzo 2011). Sulla morte, su come avveniva un tempo con il sostegno delle persone care, voglio citare il bel racconto che Enzo Bianchi fa sul suo libro “Il pane di ieri”: un’esperienza che anch’io ho fatto assistendo alle ultime ore di vita di mia nonna. Purtroppo non ho potuto fare altrettanto con mia madre e con mio padre entrambi morti in un freddo reparto di terapia intensiva di un ospedale, e me ne dolgo. Perché accanirsi ad allungare una vita che ormai è giunta al termine? Ma non lo ha detto Gesù (Mt 6, 27) “E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?”. Bianchi racconta: “Morire a casa propria era il desiderio del malato e dei parenti che tutto predisponevano a tal fine. Oggi, al contrario, la maggior parte delle persone muore in ospedale o al ricovero e tutto concorre affinché il malato concluda nell’estraneità di un luogo ‘altro’ un’esistenza che sovente ha faticato a trovare un ‘focolare’ attorno al quale edificarsi. Eppure, mentre ciascuno nasce senza averlo imparato, a morire si impara, e si impara soprattutto vedendo altri morire nella quotidianità, in comunione e nella pace … l’importanza di non morire soli! Se la vita è relazione con gli altri, anche il morire va custodito in questo spazio di comunione”. E come si fa a non concordare?

 

Gian Paolo Di Raimondo

 

Nato in Ancona il 2 marzo 1936 – diplomato a Camerino nel 1955.

Dal 1959 al 1989 impiegato/dirigente/direttore di aziende multinazionali (Olivetti, General Electric, Philips e Siemens). Conseguito il diploma di “Operatore della carità” all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater presso l’Università Lateranense nel 2008, oggi è volontario Caritas.
Via Copenaghen, 10 – 00144 Roma