PAPA GIOVANNI XXIII

 

 

 

Giacomo Manzù: Giovanni XXIII
 

 

Il 27 aprile prossimo, il Papa dell’amore, dell’unità e della pace, sarà iscritto nell’Albo dei Santi. La canonizzazione di Giovanni XXIII, secondo quanto decretato da papa Francesco, avverrà assieme a quella di Giovanni Paolo II. A Roma da settimane si registra il tutto esaurito: oltre agli alberghi, bed and breakfast, ostelli e affitta camere, ci saranno i tanti fedeli che arriveranno in città in giornata per poi andarsene senza restare a dormire.
Per l’evento, definito dal sindaco Marino “planetario”, in Comune circola l’ipotesi che si raggiungerà quel giorno la cifra record di cinque milioni di persone, il che significa raddoppiare l’intera attuale cittadinanza della capitale. Penso che i due papi meritino proprio una tale manifestazione di affetto da parte del popolo cristiano che si appresta a venerarli sugli altari.

E’ praticamente impossibile unire in un ricordo comune le benemerenze dei due papi tanto diversi, ma così importanti per far partecipare la Chiesa alla globalizzazione, anzi perché ne diventasse anticipatrice. Essi meritano di essere considerati separatamente e indipendentemente sottoposti a giudizio storico.

In questa sede voglio concentrare l’attenzione sul Papa “buono”, rimandando ad un'altra occasione una conversazione ad hoc su Giovanni Paolo II del quale anticipo solo la sua grande passione per le scienze che gli ha dato il coraggio di chiedere perdono per gli errori fatti dalla Chiesa quando ha preteso di porsi in contraddizione con esse.

Per iniziare a parlare del pontificato di Giovanni XXIII, mi piace porre immediatamente l’attenzione su due delle peculiarità attribuitegli dai suoi successori, ma soprattutto dalla gente, che hanno contraddistinto la sua missione:

  • La grande intuizione – certamente suggeritagli dallo Spirito Santo – di indire il Concilio Vaticano II, per portare a comprendere ed applicare sempre meglio il Vangelo;

  • il perseguimento costante degli obiettivi di unità e libertà religiosa e di pace nel mondo.

 

Solo sul Concilio, peraltro ancora non completamente applicato, si dovrebbe aprire un capitolo a parte in considerazione delle migliaia di pagine scritte dal 1965 ad oggi; mi limiterò ad evidenziare una delle tante novità che, pur non avendo carattere dogmatico, ma prevalentemente pastorale, hanno inciso fortemente nella vita della Chiesa, quella cara a papa Roncalli, sull’unità e libertà religiosa. La Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae): “Il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il mistero della Chiesa, non esita ora a rivolgere la sua parola non più ai soli figli della Chiesa e a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti gli uomini … dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata”.

Altre volte mi è capitato di scrivere su questo sito del Concilio Vaticano II (e del suo artefice); di quell’evento ho un ricordo personale estremamente vivo poiché l’azienda in cui lavoravo allora organizzò e gestì il  relativo sistema informatico e io vi partecipai. Purtroppo, nel verificare come sia stato attuato lo straordinario messaggio conciliare, per la realizzazione del quale Paolo VI sperava che la Chiesa cattolica dovesse riservare “le sue generose e ordinate energie”, non posso che ribadire quello che sostiene Enzo Bianchi quando scrive che sul Concilio ci sia ancora una diffusa disattenzione.

Voglio sperare che oggi finalmente si possa considerare giunto il tempo perché il popolo di Dio abbia la forza di ritrovare - come sollecitato dal Concilio - un rinnovato slancio missionario e un risveglio del fervore liturgico con una partecipazione entusiasta e numerosa alla vita ecclesiale. E anche per questa speranza mi unisco a quanto scritto da Bianchi: “Ora siamo in una nuova fase di attuazione del Vaticano II, una fase in cui, ne sono convinto, sarebbe possibile un’attuazione matura, operata con un sapiente discernimento, possibile anche grazie alla fine di molte querelles troppo partigiane e personalizzate. D’altronde la storia insegna che occorrono decenni prima di una ricezione e di un consenso conciliare che apra un’attuazione creativa, tanto più per il Vaticano II che è stato, pur nella puntuale continuità della grande tradizione cattolica, un concilio che ha immesso il cattolicesimo in una nuova fase della storia, tentando una riforma, un “aggiornamento”, per usare il termine coniato e reso eloquente da chi il concilio aveva pensato e voluto: Giovanni XXIII”.

L’apertura della Chiesa cattolica al processo ecumenico di tutti i cristiani, ai seguaci di altre religioni e addirittura ai non credenti per una nuova evangelizzazione che oggi papa Bergoglio persegue, è senz’altro stato avviato dai suoi predecessori, Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, e Francesco lo riconosce spesso pubblicamente. Infatti, Giovanni XXIII, nella prospettiva di un aggiornamento riguardante tutta la vita della Chiesa, invitava a privilegiare la misericordia e il dialogo con il mondo piuttosto che la condanna e la contrapposizione (memorabile è l’aver voluto riformare il modo come il cattolicesimo si dovesse rapportare con l’ebraismo) in una rinnovata consapevolezza della missione ecclesiale che doveva abbracciare tutti gli uomini.

Le varie confessioni cristiane furono invitate anch’esse a partecipare al Concilio per dare inizio ad un cammino di avvicinamento. Ma il Papa dell’unità andò ben oltre: la sua enciclica “Pacem in terris” la indirizzò, per la prima volta nella storia della Chiesa, a “tutti gli uomini di buona volontà” non solo ai cattolici, ma non solo ai cristiani, quindi ai fedeli di altre religioni e anche agli atei. Il prestigio e l’ammirazione universali si poterono misurare pienamente in occasione delle ultime settimane della sua vita, quando tutto il mondo si trovò trepidante attorno al capezzale del Papa morente e accolse con profondo dolore la notizia della sua scomparsa la sera del 3 giugno 1963. «Perché piangere? È un momento di gioia questo, un momento di gloria» sono state le sue ultime parole, rivolte al segretario, Loris Francesco Capovilla.

Voglio chiudere con una chicca sul rapporto del Papa “buono” con tutto il variegato mondo delle persone senza sottostare a vincoli, pregiudizi ed esclusioni di sorta. Papa Giovanni, oltre al “sindaco santo” di Firenze, Giorgio La Pira, incoraggiò la lavorazione del film “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, nonostante i primi attacchi della stampa moralistica contro un regista omosessuale che decideva di occuparsi di Cristo. Pasolini non dimenticò questo sostegno del Papa “contadino” e all’uscita del film nel 1964, sopraggiunta la morte di Papa Giovanni, dedicò il film “Alla cara, lieta e familiare memoria di Giovanni XXIII”.

Gian Paolo Di Raimondo
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Roma, 5 aprile 2014

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