LA FAMIGLIA

 

 

 

 

La famiglia del film di Pupi Avati “Un matrimonio”

 

Lunedì 20 gennaio scorso è terminata la fiction di Pupi Avati “Un matrimonio” andata in onda in sei puntate su RAI Uno. L’ultima puntata ha battuto i record di ascolto con 5 milioni e mezzo di spettatori. Anche questo successo televisivo ha confermato come una grande parte del paese sia attratta dalla “normalità” ed è apprezzabile il fatto che, come ha detto lo stesso Pupi Avati commentando il successo del suo lavoro, “sono molte le famiglie che hanno resistito e ancora resistono ai tanti violentissimi attacchi di chi tenta irresponsabilmente di minarne la compattezza”. E aggiunge: “Proponendo questa storia così controtendenza (un matrimonio che resiste per cinquant’anni!) temevo ci trovassimo in una situazione di avvitamento senza ritorno, condannati a quella definizione di ‘cinema della nostalgia’ che ha mortificato buona parte della nostra filmografia. Al contrario la risposta non ci viene solo da coloro che possono essersi riconosciuti per ragioni anagrafiche, ma anche da moltissimi giovani che esprimono la stessa necessità di punti di riferimento rassicuranti”. Conclude con un vero e proprio inno di esaltazione della famiglia: “… quei padri e quelle madri che, senza alcun supporto da parte delle istituzioni preposte e avendo contro una industria culturale impegnata in operazioni di retroguardia, si ostinano nel credere in quella cellula essenziale alla sopravvivenza di ogni società che è la famiglia, sono da abbracciare forte. Con la riconoscenza che meritano. La famiglia italiana, restituita alla sua centralità, è il nostro patrimonio autentico”.

Purtroppo nella realtà delle cose per la famiglia non sono rose e fiori, anzi … Tre sono i fattori che determinano la crisi in atto della famiglia: un atteggiamento culturale che spinge all’individualismo, la mancanza del principio di autorità che aiuti la famiglia a uscire dall’orizzonte ovattato del sentimentalismo, come sostiene Susanna Tamaro, di un mondo drammaticamente femminilizzato e le crescenti difficoltà economiche che non danno alcuna sicurezza alle giovani coppie per intraprendere un’unione fissa e stabile.

Secondo il rapporto annuale diffuso dall’Istat per l’anno 2012, la famiglia italiana soffre di un forte malessere: aumentano le separazioni (anche se il numero dei divorzi è in lieve calo), si riduce il tempo di durata del matrimonio con un limite di 15 anni. Emergono, poi, nuove forme di relazione, come i LAT (Living Apart Togehter), quelle coppie cioè che pur avendo un rapporto affettivo stabile preferiscono vivere separatamente e non sotto lo stesso tetto. Anche in questo caso, una delle motivazioni che spingono ad una tale soluzione, è la difficoltà economica, ma anche la scarsa fiducia in una relazione che duri nel tempo.

Papa Francesco ha affrontato recentemente il problema della crisi del matrimonio, sia nella sua prima “Esortazione apostolica” Evangelii Gaudium, che nell’incontro in piazza S. Pietro con i fidanzati il giorno di San Valentino scorso. Per il Papa la famiglia attraversa una crisi culturale profonda a causa del fatto che l’individualismo post-moderno e globalizzato favorisce uno stile di vita … che snatura i vincoli familiari. In contrapposizione a questo tipo di mentalità che predilige il “provvisorio”, papa Francesco propone un progetto di vita insieme che duri per sempre sostenuto dall’amore inteso come una relazione, una realtà che cresce, … che si costruisce come una casa. E la casa si costruisce assieme, non da soli! Una vita insieme non può basarsi solo su un sentimento amoroso psicofisico, sostiene il Papa, ma per essere “per sempre” - che non è solo una questione di durata ma di qualità - deve essere concepita come una “relazione” che cresce giorno per giorno con obiettivi precisi: “il marito ha il compito di fare più donna la moglie e la moglie ha il compito di fare più uomo il marito. Crescere anche in umanità. Questo si chiama crescere insieme. Ma questo non viene dall’aria, il Signore benedice, ma viene dalle vostre mani, dai vostri atteggiamenti, procurare che l’altro cresca, lavorare per questo”.
 

Torniamo a considerare la famiglia in termini laici, quale nucleo fondante della società e realtà riconosciuta dalla Costituzione; in questi termini la società non può non favorirla e sostenerla e quindi promuovere politiche che consentano anche la sua nascita. E ancora, l’impegno degli organismi istituzionali deve andare nella direzione di tutelare incondizionatamente questo nucleo affettivo relazionale. Ma in realtà da noi è proprio così? Purtroppo non credo proprio. Forse avrei dovuto usare il condizionale ma, da incallito ottimista quale sono, voglio considerare il presente un auspicio perché in un futuro non troppo lontano si attuino quelle politiche per sostenere la famiglia in tutte le sue esigenze primarie presenti già in molti paesi d’Europa.

Sarebbe sufficiente tenere in giusta considerazione la visione cristiana della famiglia per considerarla “grandemente produttiva di capitale sociale”. Infatti, al di là degli aspetti legati alla fede, per noi cattolici la famiglia produce una relazione fra singoli beni in una dinamica di reciproco arricchimento: “quanto più è bene comune tanto più è mio bene”. In questa ottica due sono gli aspetti fondamentali che contraddistinguono il “bene comune”, la solidarietà e la sussidiarietà. La prima consiste nel creare interdipendenza di tutti con tutti, la seconda invece tutela e promuove le relazioni sociali che vedano nell’altro non un limite, ma la condizione che rende possibile il mio bene. Il matrimonio e la famiglia che ne deriva, per noi cristiani, non sono unioni legate solo da pura affettività e spontaneità, ma proposte ragionevoli e razionali in termini di “capitale sociale”.

Queste le iniziative politiche auspicabili per promuovere un migliore stile di vita della famiglia:

 

·         evitare qualsiasi forma di equiparazione tra famiglia e altre forme di convivenza;

·         assicurare il diritto a una casa, necessaria per una decente vita familiare;

·         fornire i mezzi per esercitare la responsabilità nella educazione dei figli;

·         fornire la garanzia perché siano conciliati lavoro e famiglia;

·         concentrarsi sui diritti relazionali della persona umana e non solo sui diritti dell’individuo.

Per fare ciò e molte altre iniziative ispirate alla Dottrina Sociale della Chiesa è necessaria l’entrata in politica di una nuova generazione di cattolici. Le comunità cattoliche di base dovrebbero orientare i  giovani, opportunamente preparati, ad assumere le proprie responsabilità partecipando attivamente alla vita politica del paese per poter inserire nella futura compagine politica nazionale persone in cui prevalgano i seri e solidi principi morali impostici dalla nostra dottrina cristiana. Questa nuova generazione di politici cattolici dovranno essere impegnati a promuovere il bene comune e non gli interessi di parte; sarebbe opportuno, a mio avviso, che le diocesi si organizzassero per ripristinare le scuole di politica che produssero in passato quella classe dirigente che spesso oggi siamo costretti a rimpiangere. Ciò non vuol dire rifare il partito dei cattolici – una nuova Democrazia Cristiana – che sarebbe anacronistico, ma immettere negli schieramenti politici una nuova linfa rigeneratrice, formata da persone “preparate, pulite, competenti e credibili”, che partecipino direttamente e disinteressatamente alla ricostruzione del paese dopo il disastro attuale.

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 18 febbraio 2014

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