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don Pino Pulcinelli

 
 
 

La festa per i 150 anni dell’unità d’Italia


 

Il 17 marzo prossimo, dopo una serie di inutili polemiche alimentate dalla Lega, si è deciso di festeggiare i 150 anni dell’unità nazionale. Che strano paese è il nostro, non riusciamo ad evitare laceranti divisioni nemmeno su argomenti che dovrebbero unire: la nostra classe dirigente è divisa su tutto. Nel Consiglio dei Ministri che ha adottato il provvedimento, i ministri Calderoli e Bossi hanno votato contro, Maroni - più diplomaticamente - se ne era già andato prima. Ma non basta: il ministro per la semplificazione ha detto che un tale decreto è pura follia ed è da considerarsi incostituzionale, l’eurodeputato Borghezio ha rincarato la dose asserendo: “per noi patrioti padani questa data diventerà una giornata di lutto”. Il fatto che più mi sconvolge non è rappresentato da coloro che parlano a ruota libera e si permettono di mettere in discussione l’unità d’Italia e sbeffeggiarne il simbolo, la bandiera, ma che nessuno protesta vigorosamente per tutto ciò. Ci voleva un comico, un giullare per ricordarci che siamo una nazione e che una delle poche cose buone che gli italiani in quanto popolo hanno fatto (non solo l’aristocrazia, la borghesia e la massoneria) è stata proprio quella di combattere per realizzarla. Mi domando come si possa digerire tutto, rimanere indifferenti anche sul comportamento a dir poco irrituale dei responsabili della cosa pubblica, sia perché “da chi guida il paese ci si attende esemplarità nel privato”, che per la coerenza delle azioni di governo con il giuramento fatto sulla Costituzione nazionale. Nella nostra apatia ci è sfuggito che il Financial Times, la bibbia del capitalismo finanziario internazionale, così ha scritto su di noi: “C’è un paese europeo che ha caratteristiche da mondo arabo: un’economia sclerotica, vita civile danneggiata da corruzione e malavita, crescente scontro generazionale. E’ controllato da una classe gerontocratica blindata in politica e in economia, che costringe i giovani migliori a espatriare. Questo paese è l’Italia”. E per noi … va sempre tutto bene madama la marchesa! Torniamo alla prossima festa del 17 marzo. Il presidente della Repubblica (fortuna che abbiamo Napolitano, uomo saggio!) ha sempre ricordato la centralità di questa data e ha tenuto a dichiarare: “c’è l’impegno, ribadito anche dai cardinali Bertone e Bagnasco, per la partecipazione della Chiesa e in qualche forma anche del Pontefice alle celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Un fatto molto importante”. A questo punto vorrei fare due considerazioni: ambedue della massima importanza perché mettono in risalto il superamento intelligente di una stagione non priva di tensioni tra Stato e Chiesa. La prima, il presidente Napolitano riconosce pubblicamente che anche dopo la formazione dello Stato unitario, l’intero mondo cattolico è stato protagonista di rilievo della vita pubblica, fino ad influenzare profondamente il processo di formazione ed approvazione della Costituzione repubblicana. E, dopo aver ricordato l’apporto dei quattro “professorini” (Fanfani, La Pira, Dossetti e Moro) nell’assemblea costituente, si è soffermato sull’importanza attuale del contributo dei cattolici che risulta essenziale al fine di promuovere il confronto aperto e costruttivo tra diversi orientamenti; confronto ritenuto da Napolitano cruciale per l’attuazione delle necessarie riforme istituzionali e per il perseguimento di obiettivi di inclusione sociale e d’integrazione culturale. La seconda, i cardinali Bertone e Bagnasco e quindi anche il Santo Padre, stanno dimostrando nei fatti che la saggezza propositiva della Chiesa, superando i contrasti ormai metabolizzati, aiuti il paese ad un comune sentire per il raggiungere il risultato dei un discernimento culturale ed etico, condizione costitutiva delle scelte politiche ed economiche. Già un simile atteggiamento era iniziato il 20 settembre 2010 con la partecipazione al 140° anniversario di Roma capitale del cardinale Bertone a Porta Pia, proseguirà con la Messa per l’Italia nell’anniversario dell’unificazione presieduta dal cardinale Bagnasco nella basilica di Santa Maria degli Angeli e si concluderà con l’annunciata partecipazione - nei modi ancora da definire - di Benedetto XVI alla festa del 17 marzo prossimo. La salutare convivenza raggiunta tra Stato e Chiesa contagi anche la politica!

 

Gian Paolo Di Raimondo

 

Nato in Ancona il 2 marzo 1936 – diplomato a Camerino nel 1955.

Dal 1959 al 1989 impiegato/dirigente/direttore di aziende multinazionali (Olivetti, General Electric, Philips e Siemens). Conseguito il diploma di “Operatore della carità” all’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater presso l’Università Lateranense nel 2008, oggi è volontario Caritas.
Via Copenaghen, 10 – 00144 Roma