I PIANI DELLE PARTI SOCIALI PER RISOLVERE LA CRISI

 

Nella pace si raggiunge meglio il bene comune dei cittadini.

 

 

 

 

 

 

Forse, a guardar bene, gli argomenti che uniscono le due più importanti parti sociali – la Confindustria e la CGIL – per far ripartire l’economia dalla grave crisi che ha colpito imprese e lavoratori sono molti di più di quelli che li dividono. Cercando di avallare questo presupposto sono andato a leggermi i rispettivi piani presentati recentemente da Giorgio Squinzi e da Susanna Camusso. Prima, però, ritengo necessaria una premessa.
Mentre i partiti si scambiano attraverso i relativi leader accuse reciproche e anche insulti rendendo la campagna elettorale sempre più esacerbata, le due maggiori associazioni di categoria contrapposte istituzionalmente, per la prima volta nella storia della nostra democrazia, ufficializzano un loro “piano” indicando gli strumenti propulsori che, a loro avviso, possono far uscire il paese dall’attuale fase di recessione. A me sembra questo un avvenimento da non sottovalutare.
Il tentativo di Squinzi e Camusso di far uscire la politica dalle secche dell’annuncio perenne presentando la cruda realtà che necessita azioni urgenti per evitare il peggio, è una lodevole iniziativa di tutto rispetto. Non ci sono differenze tra i due “piani”? Certo che sì, ma sulle principali tematiche ci sono anche molti punti convergenti. Cercherò di elencare sinteticamente quelli che sono i passi in comune premettendo che il programma Squinzi ha un taglio maggiormente rivolto verso l’estero e in particolare alla politica monetaria e finanziaria dell’Unione Europea. Mentre quello della Camusso pone maggior enfasi alle politiche che investono maggiormente l’Italia, invocando una maggiore partecipazione della Pubblica Amministrazione a livello locale e regionale per lo sviluppo del territorio. Sull’eccessivo carico fiscale questo ciò che dice il programma Squinzi:

La complessità delle leggi e degli adempimenti, la lentezza della burocrazia, i lunghissimi e incerti tempi della giustizia, l’insopportabile carico fiscale, la mancanza d’infrastrutture adeguate sono mali antichi di questo Paese. La finanza deve tornare alla sua missione originaria e naturale: supportare l'impresa nello sviluppo economico.

E quello che dice il programma Camusso: “La riforma organica del sistema fiscale va fondata su un recupero strutturale del reddito evaso, un allargamento delle basi imponibili; una maggiore progressività dell’imposizione tributaria nel suo complesso può generare maggiori entrate per un ammontare di almeno 40 miliardi di euro annui.

Sulla riforma della Pubblica Amministrazione ecco i rispettivi punti di vista. Squinzi:

La riforma della Pubblica amministrazione è la ‘madre di tutte le riforme’ perché è quella che, insieme alla semplificazione normativa, maggiormente può aiutare a tornare a crescere. Così non si pesa sul deficit, ma s’incide fortemente sulla competitività, e quindi sulla crescita”.

Camusso: “La riduzione dei costi della politica e degli sprechi e la redistribuzione della spesa pubblica possono produrre almeno 20 miliardi di euro di risparmi strutturali”.

Dare importanza al Made in Italy, così Squinzi: “Dobbiamo potenziare l’azione di tutela del made in Italy, soprattutto a livello europeo, impedendo che strumenti come l’antidumping vengano depotenziati e affermando con sempre maggiore determinazione l’esigenza che le regole commerciali vengano rispettate da tutti. Il Governo deve mettere in campo le risorse necessarie a contrastare il fenomeno della contraffazione sia alle dogane, sia sul territorio”.

E così Camusso: “Dare importanza al ‘Made in Italy’: la prima grande ricchezza dell’Italia è se stessa, il suo territorio, la sua cultura, il suo patrimonio storico e artistico”.

Sul dare vigore all’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, questa la posizione di Squinzi: “Una buona politica industriale ha bisogno di buone relazioni industriali. Relazioni solide, strettamente ancorate al merito, in cui sia pienamente riconosciuto il valore e la funzione sociale dell’impresa. Relazioni per innovare, per crescere, per risolvere i problemi ma, soprattutto, relazioni industriali capaci di leggere e di interpretare il cambiamento. Mai come oggi, le imprese hanno bisogno di un buon sistema di relazioni industriali che permetta di lavorare su progetti condivisi all’insegna di una forte unità di azione. É essenziale dare attuazione a quanto è stato condiviso con i sindacati nell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011”.

E questa quella di Camusso: “Bisogna dare valore all’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011. Occorre partire dall’applicazione dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 sul sistema contrattuale a due livelli: il ccnl livello di definizione generale delle tutele, dei diritti, del potere d’acquisto e di inclusione regolata di tutti i rapporti di lavoro; il secondo livello di attuazione delle materie demandate dal ccnl in materia di organizzazione del lavoro, professionalità, crescita delle retribuzioni.

Il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti viene così interpretato da Squinzi: “E bisogna utilizzare di più le grandi potenzialità della Cassa Depositi e Prestiti. Questo serve per uscire dall'emergenza, ma non esaurisce il grande tema di una nuova politica industriale per la crescita”.

E così da Camusso: “La Cassa depositi e prestiti, sull’esempio della Caisse des Dépots francese, deve consolidare la missione di utilizzare le sue emissioni obbligazionarie di lungo e lunghissimo termine per attirare i capitali, oltre l’orizzonte temporale degli operatori tradizionali, su progetti di sviluppo e infrastrutturali per investimenti strategici e di lungo periodo, sia per le pubbliche amministrazioni che per le società industriali, diventando così uno dei soggetti essenziali per l’innovazione e la riorganizzazione del Sistema paese”.

I due piani così si esprimono sul ruolo del Mezzogiorno, Squinzi:

Gli elementi di debolezza del nostro Paese si manifestano con particolare forza nel Mezzogiorno, dove una radicata cultura assistenziale non ha favorito lo sviluppo di una sana cultura di mercato. Il tema del Mezzogiorno deve essere ripensato inserendo le politiche europee e del Mediterraneo dentro una solida cornice nazionale”.

Camusso: “Centralità dell’intervento pubblico come motore dell’economia. Necessità di effettuare una grande iniezione di investimenti pubblici nel Mezzogiorno”.

Infine, sulla problematicità del rapporto banca-impresa e Stato-impresa Squinzi dice:

L’accesso al credito bancario è diventato problematico. Lo Stato paga con ritardi sempre più ampi che non sono più tollerabili. Non sono degni di un paese civile. Non possiamo più accettare che le imprese falliscano perché devono versare le tasse per forniture fatte allo Stato e che lo Stato non ha pagato. Non possiamo più accettare che lo Stato ritardi persino i rimborsi dei crediti lVA”.

E Camusso: “Riordino di agevolazioni e trasferimenti alle imprese, per recuperare almeno 10 miliardi. Utilizzo di una parte delle risorse delle fondazioni bancarie (verso ‘valori collettivi e finalità di utilità generale’, così come previsto dall’ordinamento italiano, legge 218/1990), soprattutto per il piano per il Nuovo Welfare. La crisi del debito sovrano che interessa l’Eurozona richiede un intervento decisivo e strutturale volto a rendere sostenibili i debiti dei differenti Stati membri al fine di riallineare la situazione economica, finanziaria e fiscale tra gli Stati più ‘forti’ e gli Stati più ‘deboli’. L’intervento consiste nel graduale ritiro da parte della Bce - modificandone opportunamente lo statuto e i trattati istitutivi dei due fondi salva-stati, Esm e Efsf - di titoli di Stato per quasi 1.900 miliardi di euro (cifra pari alla somma del 20% del Pil di ciascun Paese)”.

 

Non vorrei sembrare troppo ottimista ma credo che ci siano i presupposti perché i rappresentanti delle forze produttive del paese possano insieme spingere il prossimo Governo a realizzare quel programma di riforme che i cittadini italiani e la Comunità Europea attendono da anni. Gli attuali piani della Confindustria e della CGIL sono una manifestazione concreta di tale necessità. Sarebbe opportuno che anche l’intera nostra comunità cattolica partecipasse, nell’ambito della società civile, a sollecitare i partiti politici e la classe dirigente a intraprendere il rinnovamento necessario per uscire definitivamente dalla crisi. Un inizio in questo senso l’abbiamo avuto con il contributo delle Acli che ha presentato un proprio documento e con l’intervento del suo segretario provinciale Roberto Doninelli: “La politica sia capace di rinnovarsi grazie all’apertura alla società civile, ai giovani e alla donne”. I cattolici non devono chiudersi nelle loro comunità con obiettivi esclusivamente religiosi, ma aprirsi alla società civile e partecipare all’impegno politico per il bene comune, ricordando sempre cosa pensavano della politica due grandi Papi.

Paolo VI affermava che “la politica è una maniera esigente di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri” (Octogesima Adveniens, n. 46). E Papa Giovanni XXIII nell’Enciclica “Pacem in terris”, indirizzata ai politici, come “A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell'amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall'altra la comunità mondiale. Compito nobilissimo qual è quello di attuare la vera pace nell'ordine stabilito da Dio”.

 

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 10 febbraio 2013

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