LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

 

 

 

 

 

 

Prendo lo spunto da alcuni commenti al mio ultimo articolo sull’Olivetti ricevuti nelle settimane scorse, per tornare sull’argomento del capitalismo umano costruito da Camillo e Adriano Olivetti collegandolo alla Dottrina Sociale della Chiesa. Questa sinteticamente la velata critica all’articolo: niente di esplicitamente religioso (come invece gli altri approfondimenti ospitati dal sito) trovava il lettore che mi ha scritto nell’articolo tutto rivolto, secondo lui, alla politica industriale, al welfare, al rapporto con le maestranze per la realizzazione della pace sindacale.

In sintesi, avrei fatto una specie di apologia dell’azienda e dei due suoi patrons, il fondatore Camillo e l’innovatore Adriano. In questa sede voglio rispondere alle critiche contestando per prima cosa il fatto che il rapporto lavoratore – datore di lavoro sia un elemento di cui la Chiesa si è disinteressata nel corso della sua storia e poi, che il porre nella dovuta evidenza una delle rare aziende che hanno realizzato un capitalismo umano non debba essere considerato apologia, ma semplicemente il ricordo, con un pizzico d’orgoglio, di una stagione di vita vissuta.

D’altra parte se l’Olivetti non fosse da considerarsi un’eccezione nell’ambiente sociale dell’era dell’industrializzazione ma la norma, forse una serie di avvenimenti di fine ottocento che portarono alla decisione storica di Papa Leone XIII di scrivere la Rerum Novarum (1891) sarebbero stati ridimensionati.

Si dice che la Dottrina Sociale della Chiesa non nasca con Leone XIII ma sia sempre esistita a partire dalle Lettere di San Paolo. Sarà, ma la sua divulgazione in termini chiari e aggiornati nel tempo inizia da Lui e prosegue con cinque dei suoi successori compreso l’attuale Pontefice con la Caritas in Veritate.

E’ ovvio che le Encicliche sociali non facciano che affermare l’impegno della Chiesa nel sociale in sintonia con il messaggio cristiano “sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra”, ma contribuiscono ad adattare tale messaggio al mondo che cambia. Infatti la Dottrina Sociale non è da considerarsi una meccanica applicazione di principi immutabili (imposizione di regole), né rappresenta un’analisi sociologica da laboratorio, vuole essere essa stessa un’espressione delle scienze sociali e vuole dare un apporto ad esse. L’elemento di unione delle scienze è rappresentato dalla figura della persona (che costituisce l’unicità per natura e per creatività nella relatività con l’altro).

Ma torniamo all’inizio, alla Rerum Novarum, nella quale la questione sociale non si limita al solo problema operaio. Si affrontano in essa i due aspetti politici che sovrintendono lo sviluppo dell’economia: il marxismo e il liberismo. L’Enciclica critica ambedue i sistemi poiché li considera approcci materialistici. Tutte le otto Encicliche sociali che seguirono la Rerum Novarum, infatti, non si scostano minimamente dal condannare il materialismo del comunismo e del capitalismo. E visto il fallimento dei due sistemi fin’ora applicati - il comunismo dei regimi totalitari e il tipo di capitalismo applicato dai paesi democratici industrializzati che ci ha portati all’attuale grande crisi mondiale - non mi sembra che la posizione della nostra Chiesa cattolica possa essere considerata errata.

Diamo uno sguardo al contesto storico e sociale in cui è maturata l’Enciclica di Leone XIII: imperialismo, neocolonialismo, questione operaia e lotte di classe, seconda rivoluzione industriale, avvio dell’Internazionale socialista e del liberismo storico. La Rerum Novarum si esprime sulla questione operaia, condanna la lotta di classe puntando sulla collaborazione tra lavoro e capitale, esprime il rifiuto del liberismo senza controllo e del socialismo ideologico, enuncia la difesa della proprietà ma con uso sociale, dichiara il primato della persona, auspica la libertà di associazione, introduce il concetto di sussidiarietà e di solidarietà sostenendo il diritto dei più deboli.

Vi sembra poco? Tutti questi concetti sono ribaditi e integrati seguendo l’esigenza dei tempi in evoluzione dalle altre otto encicliche dei successori di Leone XIII: la Quadragesimo Anno di Pio XI del 1931, la Mater et Magistra di Giovanni XXIII del 1961, la Pacem in terris sempre di Giovanni XXIII del 1963, la Populorum Progressio di Paolo VI del 1967, la Laborem Exercens di Giovanni Paolo II del 1981, la Sollicitudo Rei Socialis sempre di Giovanni Paolo II del 1987, la Centesimus Annus ancora di Giovanni Paolo II del 1991 e la Caritas in Veritate di Benedetto XVI del 2009.

Non è certamente mia intenzione soffermarmi ad analizzare ciascuno di questi importanti documenti ognuno dei quali tratta argomenti peculiari alla definizione della Dottrina Sociale della Chiesa; voglio però soffermarmi un attimo sulla Pacem in Terris che, a mio avviso, trattando il grande tema della pace e della dignità umana travalica l’orizzonte cattolico ed anche cristiano; infatti Giovanni XXIII la indirizza “a tutti gli uomini di buona volontà”. L'Enciclica, firmata il 9 aprile del 1963, collocò il messaggio del pontefice su un piano essenzialmente umano, più che religioso, senza condanne di alcun tipo. Il documento fu il testamento spirituale di papa Giovanni, che riassume così tutto il suo pontificato: bisogna combattere il peccato non il peccatore; solo parlando di ciò che unisce, si può superare ciò che divide. Non fu un’Enciclica teologica ma piuttosto una "illuminazione" politica offerta soprattutto ai potenti della terra.

La Pacem in Terris di Giovanni XXIII fu accolta dal mondo con entusiasmo, ma in un clima di tensione all’interno della Chiesa per la diffidenza verso quella ventata di novità e di ottimismo suscitata dalle parole profetiche di quel vecchio e malato pontefice che sarebbe morto due mesi dopo l'emanazione di quel documento. Nella Pacem in Terris si ritrova una teologia così poco papale che non è dato trovarla in altre encicliche precedenti. Per questo alcuni accusarono l'Enciclica, e con essa il Concilio, di sconvolgere la tradizione cattolica, ma a chi accusava il pontefice di voler "rompere" con la tradizione, papa Giovanni rispondeva: «Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio».

In un momento storico di confusione e di paura, l'uscita della Pacem in terris divenne la voce di tutta la famiglia umana oppressa dall'incubo minacciosamente incombente di una guerra atomica.

Chiudo ricapitolando i tre punti principali su cui si basa la Dottrina Sociale della Chiesa cattolica:

 

1.       L’Uomo, perché egli è creatura di Dio, dotata di dignità spirituale, centro dell’ordine economico, sociale, politico, insieme alla sua famiglia. Perciò l'uomo ha diritto alla vita religiosa, al lavoro, alla famiglia, all'uso dei beni materiali, alla proprietà, al giusto salario, alla libertà, alla partecipazione alla vita dello Stato, all'istruzione, alla collaborazione nella produzione della ricchezza.

2.       Il lavoro, che va visto, come richiama Giovanni Paolo II, "nel quadro più ampio di un disegno divino" utile ai "singoli alla realizzazione dello scopo fondamentale della loro vita", mentre"l’impegno dell’occupazione di tutte le forze disponibili è un dovere centrale dell'azione degli uomini di governo, politici, dirigenti sindacali ed imprenditori" e le "le autorità responsabili" sono preposte "perché mettano mano ai provvedimenti necessari a garantire ai lavoratori la giusta retribuzione e la stabilità".

3.       Lo Stato, perché esso deve essere una società organizzata, dove sono garantite la convivenza civile, le giuste libertà individuali e sociali e la giustizia, nel perseguimento del bene comune, dell'intera comunità e non di un gruppo a detrimento delle legittime esigenze degli altri, e rispettando la libertà religiosa di tutti i culti ed i diritti della Chiesa Cattolica.

 

Ecco perché ho ritenuto l’articolo sull’Olivetti perfettamente in sintonia con gli altri contributi offerti dal sito: Adriano Olivetti, non cristiano, ha messo in pratica sostanzialmente i tre punti focali dell’orientamento della nostra Chiesa sul sociale. I primi due realizzandoli nella sua azienda, il terzo ponendolo nel programma di “Comunità”, suo sogno politico mai concretizzatosi compiutamente.

Gian Paolo Di Raimondo

gianpaolo.diraimondo@fastwebnet.it

Roma, 21 dicembre 2012