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don Pino Pulcinelli

 
 

AMMINISTRATIVE:
DAVVERO HA VINTO L’ANTIPOLITICA?

 

                       
 

Anch’io voglio commentare il voto amministrativo del 6 e 7 maggio scorsi. Sia prima dell’inizio della consultazione che immediatamente dopo, abbiamo assistito al susseguirsi di preoccupanti dichiarazioni di autorevoli personaggi che demonizzavano l’avvento galoppante di un sentimento diffuso di antipolitica, considerando la crescita di movimenti populisti, quale il grillismo, un pericolo per la democrazia. Ha iniziato il nostro Presidente della Repubblica il 25 aprile, in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della liberazione dal nazifascismo. Nel suo intervento a Pesaro, Napolitano, dopo aver incitato i partiti a dedicare un serio impegno per “varare una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e non di votare dei nominati dai capi dei partiti” e che “occorre impegnarsi perché dove si è creato del marcio venga estirpato”, sferra un duro attacco all’antipolitica che, secondo lui, è rappresentata dal rifiuto totale dei partiti. Il Presidente infatti aggiunge: “Oggi cresce la polemica con rabbia e si prendono come bersaglio i partiti come se fossero un agente inquinante. Ma rifiutare i partiti in quanto tali dove può portare? Nulla può sostituire i partiti.” Insomma, per il capo dello Stato non bisogna “abbandonarsi a una cieca sfiducia dei partiti come se nessun rinnovamento fosse possibile, e senza finire per dar fiato a qualche demagogo di turno”. Il riferimento a Beppe Grillo è evidente, anche se non è citato esplicitamente. La prova definitiva che Napolitano indica il Movimento 5 stelle quale attuale manifestazione di antipolitica, paragonandolo al qualunquismo di Guglielmo Giannini, l’abbiamo avuta con le battute polemiche, stavolta espresse pubblicamente, che i due si sono scambiati dopo lo scrutinio del primo turno elettorale. In seguito, proprio nel giorno dell’inizio della consultazione – domenica 6 maggio – quasi a far eco alle parole di Napolitano in difesa dei partiti in difficoltà, è intervenuto pure il cardinale Bagnasco. In occasione della chiusura della settimana diocesana della famiglia a Locri, il capo della CEI ha parlato contro il crescente consenso, soprattutto tra i giovani, dei movimenti populisti che definisce  come antipolitica. “Oltre ad essere particolarmente attaccati e dipendenti dalle cose materiali - ha detto Bagnasco - ad allontanare sempre più i giovani dalle istituzioni è la cosiddetta antipolitica, aspetto questo negativo e diseducativo. Ci vuole quindi una netta inversione di tendenza”. Stesso atteggiamento da parte cattolica nell’affibbiare al movimento di Grillo la connotazione di antipolitica è venuta anche da un recente articolo di Francesco Anfossi su Famiglia Cristiana online. Ma veramente siamo convinti che si possa considerare antipolitica la sfiducia per i partiti tradizionali dimostrata in questa tornata elettorale? A mio modesto avviso, l’astensionismo (solo il 65% di partecipazione nazionale a un voto amministrativo non si era mai verificato), il gran numero di liste civiche e di schede bianche e il balzo in avanti del Movimento 5 stelle non può e non deve considerarsi antipolitica ma solamente sfiducia nei partiti attuali. Il segnale è serio e sarebbe un grave errore liquidare un tale democratico avviso del crescente sentimento antipartitico con sufficienza, magari definendolo fenomeno passeggero come il movimento dell’“Uomo Qualunque” di Guglielmo Giannini buon’anima. Sarebbe utile non dimenticare, però, che in quel caso la dissoluzione del qualunquismo si ebbe per un intervento semplice e intelligente della DC di De Gasperi che ne assorbì alcune istanze.  La maggior parte dei nuovi elettori di Grillo non disprezza la politica ma solo i partiti. Credono, a torto o a ragione, in una democrazia che possa farne a meno, saltando la mediazione fra amministrati e amministratori. Certo si può non essere d’accordo, ma devono essere i partiti a dimostrare, cambiando radicalmente e riacquistando la fiducia della gente, che di loro non si può fare a meno e non pretendere che siano i cittadini a cambiare opinione su di loro. Purtroppo di De Gasperi oggi non se ne vedono all’orizzonte e i partiti non sanno far altro che bollare il grillismo come rivolta del popolo bue contro l’euro e le tasse e combatterlo accusandolo di antipolitica. Sono certo, invece, che si potrebbero salvare solo se approvassero insieme entro l’estate una riforma seria della legge elettorale, del finanziamento pubblico e della loro democrazia interna. Quelle cose che, peraltro, sarebbero state di loro competenza fare quando hanno delegato al governo tecnico l’impegno di restaurare l’affidabilità finanziaria dell’Italia. I partiti avrebbero dovuto, oltre che assecondare Monti nell’azione riformatrice dal punto di vista finanziario, modificare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari, eliminare il bicameralismo perfetto, dare a se stessi uno statuto giuridico come hanno gli organismi con responsabilità pubbliche, essere di esempio per il rigore finanziario riducendo drasticamente la necessità di sovvenzionarsi con denaro pubblico. Gli italiani però non hanno visto realizzarsi alcuna di queste riforme di competenza parlamentare e quindi dei partiti, ma solo scandali e ruberie, ed era logico così aspettarsi che fossero puniti. A questo punto, i nostri partiti tradizionali, che oggi si presentano alla società civile oppressa da un diffuso disagio sociale a causa dei sacrifici imposti dal governo per cercare di uscire dalla crisi, potrebbero addirittura rischiare tutti l’estinzione.  Allora, ce la vogliamo dare una mossa!

Gian Paolo Di Raimondo

Roma, 10 maggio 2012