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don Pino Pulcinelli

 
 

LE  DONNE  OGGI

Le uniche vincitrici di una guerra perduta
(
Miriam Mafai)

 

                       
 
Dovendo affrontare l’argomento del ruolo della donna nella società moderna avevo bisogno di un’icona di riferimento: ho scelto il premio Nobel per la pace del 1991, la birmana Aung San Suu Kyi, tornata di attualità per la recente elezione al parlamento del suo paese come leader dell’opposizione. Liberata nel novembre 2010 dopo sette anni agli arresti domiciliari (15 invece passati in detenzione) San Suu Kyi, 66 anni, è tornata a combattere per il suo popolo impegnato in una tappa importante nel cammino verso la democrazia. Ma non è ancora ben chiaro perché i militari - che detengono il potere in Birmania quasi ininterrottamente da circa 50 anni - hanno deciso, 18 mesi fa, di sostituire la loro giunta con un governo civile, di autorizzare libere elezioni per 45 seggi parlamentari e di consentire l’esistenza in parlamento di una piccola forza d’opposizione composta principalmente da deputati della Lega nazionale per la democrazia di cui è leader, appunto, San Suu Kyi. Si può sperare in un avvio di transizione a un regime democratico con il consenso delle forze armate? Chissà, il mondo democratico lo spera. Molto dipenderà da una donna straordinariamente tenace. Certo capitano “a fagiolo” per dare maggior forza alle mie parole che vogliono celebrare il ruolo della donna nella società moderna e post-moderna, due eventi recentissimi: il primo risale alla fine dello scorso anno, è stato l’assegnazione del Premio Nobel per la pace 2011 a tre donne. Ellen Johnson Sirleaf, primo presidente africano donna eletto democraticamente che, sin dal suo insediamento nel 2006, ha contribuito a garantire la pace in Liberia, a promuovere lo sviluppo economico e sociale e a rafforzare la posizione delle donne. Leymah Gbowee che ha mobilitato e organizzato le donne attraverso linee di divisione etniche e religiose per porre fine alla lunga guerra in Liberia e per garantire la partecipazione delle donne alle elezioni; si è sempre poi impegnata per aumentare l’influenza delle donne in Africa occidentale. Tawakkul Karman che ha svolto un ruolo di primo piano nella lotta per i diritti delle donne e per la democrazia e la pace nello Yemen. Il secondo fatto, solo di alcuni giorni fa, è stato l’intervento di Benedetto XVI del lunedì di Pasqua a Castel Gandolfo. Il Papa, nella sua riflessione sulla figura femminile, ha affermato che i Vangeli affidano proprio alle donne il compito di testimoni della risurrezione. Questo è un fatto molto significativo che dimostra come Gesù volesse ancora una volta porsi contro corrente rispetto alle usanze ebraiche nel considerare la donna. “A quei tempi in Israele, la testimonianza delle donne non poteva avere valore ufficiale, giuridico” eppure spiega Ratzinger, i Vangeli affidano proprio alle donne questa funzione, perché “le donne hanno vissuto un’esperienza di legame speciale con il Signore, che è fondamentale per la vita concreta della comunità cristiana, e questo sempre, in ogni epoca, non solo all’inizio del cammino della Chiesa”. Nonostante queste premesse che pongono la donna in una posizione tutt’altro che minimale rispetto all’uomo, in molti paesi del mondo una sua dignitosa emancipazione è ancora purtroppo lontana dall’essere raggiunta. Aggiungo, anche nella nostra parte di paesi cosiddetti avanzati, la donna deve arrancare molto più dell’uomo per realizzare liberamente i propri obiettivi. Consideriamo come se la cava nel mondo del lavoro: siamo sicuri che non sia più discriminata, che abbia le stesse possibilità di farsi apprezzare per le sue qualità rispetto agli uomini in modo da intraprendere uguale percorso di carriera? Credo proprio di no. Possiamo affermare obiettivamente che gli ostacoli frapposti al suo percorso sono, a dir poco, particolarmente frenanti, se non addirittura bloccanti. Intanto diciamo che le donne in carriera, almeno nel nostro paese, guadagnano molto meno dei loro colleghi uomini e il loro percorso aziendale è sempre più complicato dal fatto di dover coniugare la famiglia con il lavoro. Indicativo è che le donne assumono il ruolo di dirigenti solo dopo i 45 anni di età, mentre gli uomini arrivano al potere mediamente già a 30 anni. L’occupazione femminile in azienda si concentra soprattutto nelle aree funzionali della finanza, e del controllo di gestione, mentre l’area di direzione generale costituisce normalmente un ambito maschile. Credo che per invertire questa tendenza sia necessario che la politica che ci governa debba prima affrontare e risolvere il grave problema del sostegno pubblico alla famiglia, sia dal punto di vista economico che da quello dei servizi da mettere a disposizione del nucleo base della nostra società civile, come peraltro già fanno i paesi europei da sempre all’avanguardia dal punto di vista del welfare. Non voglio addentrarmi, per non infierire troppo sul comportamento poco dignitoso dei miei colleghi di genere maschile, sul problema del “mobbing” che purtroppo gli uomini compiono in modo prevalente rispetto alle donne nel mondo del lavoro. Un tale atteggiamento di violenza psicologica, prevaricazione e sabotaggio al limite dell’aggressione fisica sul soggetto più debole è ancora riscontrabile in alcuni ambienti lavorativi, ma per fortuna, la legislazione e la magistratura in questo caso stanno intervenendo opportunamente.  E’ noto che anche in politica le donne hanno subito per anni una netta discriminazione rispetto all’altro sesso che però non è stata ancora completamente superata, tanto è vero che le classi dirigenti dei partiti sono state costrette a ricorrere all’applicazione delle ridicole “quote rosa”. Ricapitolando e ricorrendo ad alcuni dati statistici si nota chiaramente come la donna oggi, in Italia molto più che in altri paesi europei, sia schiava del doppio lavoro, quello casalingo e quello che presta fuori. Infatti, normalmente essa è costretta a scegliere lavori esterni che le permettono di avere più tempo per la famiglia e per la casa: appena il 5% di donne è rappresentato nel livello di funzionario direttivo e solo il 24% è alle dipendenze dello Stato. L’unico settore in cui la donna italiana domina è la scuola. Parlando di emancipazione, quindi, non si può affermare che trattasi di libere scelte ma di imposizioni dettate dal doppio lavoro. Questo stato di cose costringe le donne a fallire in ambedue i suoi impegni, quello interno alla famiglia e quello esterno.  Non credo necessitino scienziati in sociologia per accorgersi che bisogna porre rimedio urgente all’attuale strana situazione che penalizza prima la donna, ma anche la famiglia e il lavoro femminile nella società. Siamo alle solite: la politica si dia una mossa!

Gian Paolo Di Raimondo

Roma, 15 aprile 2012