Home Staff Links Ricerca 

don Pino Pulcinelli

 
 

Il GRANDE BISOGNO DI PACIFICAZIONE
 

 

La realizzazione della pacificazione tra le nazioni e i popoli della terra è diventata un’emergenza della globalizzazione per evitare che le tensioni e i conflitti locali in atto qua e là nel mondo, si trasformino nelle catastrofi che hanno insanguinato il novecento: un passaggio obbligato per arrivarci è senz’altro il raggiungimento di una sana concordia tra le religioni, almeno fra quelle più diffuse. Ovviamente non tutti i conflitti sono generati da odio religioso, ma una gran parte di quelli che la storia, antica e recente, ci ha tramandato certamente si. Per questo gli ultimi Papi si sono adoperati instancabilmente nel gettare “ponti”, tra la nostra Chiesa e le diverse confessioni cristiane prima e le altre religioni monoteistiche a seguire, perché si potesse raggiungere un duraturo solido compromesso di convivenza pacifica. Non sempre questi tentativi sono riusciti completamente, ma certamente si sono fatti notevoli passi avanti, soprattutto in tema di ecumenismo e rapporto con i nostri progenitori ebrei. Molto resta da fare con l’Islam, ma vedo che Benedetto XVI non demorde. Purtroppo, come al solito, anche in questo caso, non sempre la comunità cattolica segue compatta gli indirizzi del Santo Padre: molti sono coloro che dimostrano una sensibile repulsione verso gli islamici e gli ebrei. La molla che mi ha spinto a scrivere questo articolo, infatti, è stata proprio la presa di posizione di alcuni membri della mia parrocchia contro i nostri connazionali ebrei in occasione della recente “Giornata della Memoria”. A parte la solita infelice e strumentale contestazione sui numeri della Shoah, la frase che più mi ha colpito e che mi ha fatto reagire abbastanza violentemente - forse anche un po’ sgarbatamente - è stata: “gli ebrei non sono italiani, non si considerano tali, sono solo ebrei”. Confesso che mi è venuto in mente ciò che Louis Malle mette in bocca, in un suo film sull’occupazione nazista della Francia, ad un funzionario della Gestapo che, quasi per giustificare l’arresto di alcuni ragazzi ebrei, ospiti clandestini di un collegio carmelitano grida: “non sono francesi, sono ebrei!”. E’ passato tanto tempo dalle famigerate leggi razziali e, purtroppo ancora oggi, anche tra i cattolici praticanti, esistono tali pericolosi pregiudizi.  A quei signori e a tutti coloro che la pensano come loro consiglio due cose, la prima: in un prossimo viaggio a Gerusalemme, oltre a visitare i luoghi santi raccontati dai Vangeli, facciano un salto anche allo Yad Vashem, forse ne usciranno più cristiani. La seconda: leggano il libro “Mosè Di Segni medico partigiano. Memorie di un protagonista della Guerra di Liberazione (1943-1944)”, recentemente pubblicato a cura di Luca Maria Cristini (San Severino Marche, Edizioni della Riserva naturale regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito, 2011), forse si ricrederanno sull’italianità degli ebrei che vivono da secoli nel nostro Paese. [ndr Mosè Di Segni, medico ebreo romano, aveva all’epoca due figli bambini, Frida ed Elio. Un terzo nascerà dopo la guerra, Riccardo, l’attuale rabbino capo di Roma.  Ai tre figli di Mosè il Comune di San Severino Marche ha conferito la cittadinanza onoraria]. L’“Osservatore Romano”, non una gazzetta ebraica come il “Jerusalem Post”, ha pubblicato una lunga recensione del libro firmata Anna Foa il 27 novembre dello scorso anno, dalla quale mi piace riportarne un brano: “… Il testo è quindi un documento importante non solo per ricostruire le vicende di quel frammento di guerra partigiana, ma anche per ricostruire la storia della partecipazione ebraica alla Resistenza, una storia ancora poco conosciuta e che solo recentemente comincia a diventare oggetto di ricerche e riflessioni da parte degli storici …”. Anche a me meraviglia che un popolo che ha tanto sofferto per le persecuzioni naziste, oggi infierisca contro la disgraziata comunità palestinese, ma questo è un problema della classe politica che lo governa che non riesce a concludere uno dei tanti processi di pace avviati dal 1947 in poi. Non posso proprio giustificare che, per il persistere di una simile situazione di prevaricazione sul popolo palestinese o per contrastare il potere economico che le comunità ebraiche acquisiscono nei paesi capitalistici, l’intolleranza razziale possa arrivare a mettere in dubbio il loro diritto di sentirsi a tutti gli effetti componenti della nazione in cui sono nati o, peggio ancora, a negare l’Olocausto. Infatti, questi snaturati tentativi ideologici-politici di negazione di un simile crimine contro l’umanità storicamente accertato, sono sistematicamente avanzati sia dall’estrema sinistra che dall’estrema destra e spesso avallati, ed è quello che più mi dà fastidio, da persone che si dichiarano cattoliche praticanti. 

Gian Paolo Di Raimondo

Roma, febbraio  2012