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don Pino Pulcinelli

 
 
 

 

RAPPORTO CARITAS 2011


 

Lo scorso 17 ottobre, giornata mondiale contro la povertà, è stato presentato all’Università Gregoriana l’XI rapporto della Caritas e della Fondazione Zancan su povertà ed esclusione sociale. Già il titolo dell’indagine, “Poveri di diritti”, mette subito in risalto che le persone che vivono in condizioni di povertà non soffrono solo per le insufficienti risorse economiche, ma sono private di una serie di diritti che peggiorano lo stato di precarietà impedendone di fatto il superamento. Sarebbe stato forse più giusto titolare queste mie considerazioni “l’Italia delle povertà” (al plurale), dato che ai poveri sono pure negati importanti diritti costituzionali, come il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all’alimentazione, alla salute, all’educazione, alla giustizia. Il rapporto, in linea con i dati già diffusi dall’Istat, racconta di un paese che non trova soluzioni al numero crescente dei poveri. Si arriva agli 8,3 milioni del 2010 contro i 7,8 del 2007, il 20% dei quali è sotto i 35 anni. Il numero degli under 35 che si rivolgono ai Centri di ascolto della Caritas è salito negli ultimi 5 anni del 59,6%. E di questi il 76,1% non studia e non lavora (nel 2005, i giovani nella stessa condizione erano risultati pari al 70% del totale).
Credo che sia doveroso per tutti noi soffermarsi un attimo a riflettere su questo punto: le nuove povertà giovanili, create dai disagi nell’attività lavorativa per la perdita di tutele nel mercato del lavoro e dalla precarietà come standard della vita occupazionale e quindi anche esistenziale. Oggi è facile trovarsi repentinamente in una situazione di povertà anche estrema: basta perdere il lavoro e non avere una rete familiare di salvataggio, come per tanti anni ha avuto l’Italia. Anche se molti sono gli anziani ridotti al limite della sussistenza, sono i giovani i protagonisti di questa matematica impietosa che non solo rendiconta la crisi, ma pronostica scenari di stallo, privi di una qualche minima dinamicità. La disoccupazione in Italia in termini globali è più o meno in linea con quella degli altri paesi europei, ma il dato allarmante è dato dal fatto che quella giovanile risulta essere quattro volte superiore a quella degli over 35. Monsignor Crociata, segretario generale dell’Episcopato italiano, nel presentare alla stampa questa dolente fotografia, ha sottolineato un aspetto preoccupante delle nuove situazioni di povertà sempre meno legate a storie di persone sole e sempre più caratterizzate da un coinvolgimento complessivo dell’intero nucleo familiare.
Ha soprattutto evidenziato il problema delle nuove povertà giovanili rimarcando “la condizione dei giovani, la cui povertà fondamentale si configura come mancanza o perdita di futuro, perché vede sommersi e resi inaccessibili i territori del sapere e intacca ogni opportunità di lavoro. Scuola e lavoro sono fattori decisivi per le nuove generazioni”. Al termine della presentazione del rapporto, monsignor Crociata, ha chiesto alla classe dirigente di cogliere i segnali di preoccupazione che vengono dalla fotografia della vita sociale ed economica del paese e di farsene carico responsabilmente.
Il governo (in particolare il ministro Sacconi) cosa sta facendo e cosa ha in programma di fare per porre senza indugio un limite a questa rovinosa situazione giovanile? La gente comune lancia un grido ai politici: basta occuparsi di intercettazioni, prescrizioni brevi, processi lunghi e via dicendo, nelle prossime azioni anticrisi inseriscano una qualche manovra strutturale [per ora assente anche nella lettera d’intenti del piano per la crescita che Berlusconi ha consegnato in Europa] per porre fine all’attuale stato d’inferiorità dei nostri giovani nel contesto lavorativo. Per quanto riguarda, poi, le soluzioni orientate all’emergenza “povertà”, si richiede un cambio radicale dell’approccio finora avuto; lo dicono gli esperti della Caritas che è necessario modificare gli interventi per combatterla: “Il problema è sempre lo stesso: la prevalente logica emergenziale in base alla quale è preferibile erogare contributi economici che attivare servizi non incentiva l’uscita dal disagio ma, anzi, rischia di rendere cronico il problema. Lo dimostra il fatto che, a fronte dell’aumento di risorse, non si è registrato il corrispettivo calo del numero di italiani poveri. Eppure in Italia si continua a percorrere questa strada fallimentare”.

Ricapitolando, l’ultimo bilancio Caritas sulle povertà rileva tre punti sui quali la politica e l’intera società civile devono riflettere per invertire la tendenza di questa enorme piaga che incombe sul paese. Rilanciare l’occupazione giovanile, impiegare meglio i pochi soldi che le amministrazioni locali dedicano a questo “capitolo di spesa” ed infine far si che i numeri esposti non restino esclusivamente all’interno del mondo del volontariato ma vengano assunti quale importante questione prioritaria politica ed etica e quindi portati in Parlamento. Voglio chiudere riportando due suggerimenti che il “rapporto” indica per andare oltre l’emergenza, visto che le politiche di contrasto alla povertà fin qui attuate non sono riuscite ad incidere sul fenomeno: il primo è quello di incrementare il rendimento della spesa sociale (ndr il rendimento, non l’entità). Il secondo, recuperare i crediti di solidarietà (basati sull’erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impegnano effettivamente in progetti di sviluppo locale) destinandoli in via prioritaria a occupazione di welfare a servizio dei poveri. I fallimenti dei trasferimenti monetari senza responsabilizzazione sono la principale ragione per mettere in discussione le politiche di ieri e di oggi di lotta alla povertà, basate su “misure” standardizzate, di tipo burocratico, che non guardano all’effettiva condizione delle persone, ma solo alle carte. Speriamo che tutti questi segnali contenuti nel rapporto arrivino a sensibilizzare la coscienza di chi ci governa.

Gian Paolo Di Raimondo

Roma, 1° novembre 2011

 


 

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