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don Pino Pulcinelli

 
 
 

I cattolici e la politica

Da un “granello di senape” possono nascere grandi cose


 

Il Papa, nella sua visita in Calabria del 9 ottobre scorso, ha detto di auspicare l’entrata in politica di una nuova generazione di cattolici. E’ questo il più recente dei numerosi interventi fatti negli ultimi anni dalla gerarchia ecclesiale per spingere le comunità cattoliche ad orientare i propri giovani, opportunamente preparati, ad assumere le proprie responsabilità partecipando attivamente alla vita politica del paese. Poiché ho scritto spesso su questo argomento e su come si possa giungere a disporre di una nuova generazione di cattolici pronta ad affrontare la competizione politica, penso sia opportuno tornare sul tema. Per poter inserire nella futura compagine politica nazionale persone in cui prevalgano i seri e solidi principi morali impostici dalla nostra dottrina cristiana e che siano impegnati a promuovere il bene comune e non gli interessi di parte, è necessario che le comunità di base si organizzino a ripristinare le scuole di politica che produssero in passato quella classe dirigente che spesso oggi siamo costretti a rimpiangere. Ciò non vuol dire rifare il partito dei cattolici – una nuova Democrazia Cristiana – che sarebbe anacronistico, ma immettere negli schieramenti politici una nuova linfa rigeneratrice, formata da persone “preparate, pulite, competenti e credibili”, che partecipino direttamente alla ricostruzione del paese dopo il disastro attuale. Diventa prioritario, quindi, attuare il rilancio e la proliferazione su tutto il territorio nazionale delle scuole di formazione sociali e politiche dei cattolici basate principalmente sull’ampia diffusione dei principi della Dottrina sociale della Chiesa. Il richiamo dei Vescovi si è focalizzato spesso sul fatto che “l’attuale dinamica sociale appaia segnata da una forte tendenza individualistica che svaluta la dimensione sociale, fino a ridurla a una costrizione necessaria e a un prezzo da pagare per ottenere un risultato vantaggioso per il proprio interesse”. Non credo che avesse ragione Montanelli nel denunciare l’atteggiamento rinunciatario dei cattolici nella partecipazione attiva nella politica e nel sociale per l’attendismo e il fatalismo tipicamente nostrano, quando scriveva: “Siamo un paese cattolico, che nella provvidenza ci crede o almeno ne è affascinato. Il pericolo è questo: gli italiani sentendo aria di provvidenza sono sempre pronti a mettersi in fila speranzosi”. Sono ottimista e noto con piacere che il mondo cattolico si sta muovendo nella giusta direzione, soprattutto per la guida illuminata di un grande Papa. Nella gestione della “cosa pubblica” siamo giunti, purtroppo, molto in basso e quasi alla soglia del baratro, ma non bisogna lasciarsi travolgere dall’antipolitica. E’ necessario darsi tutti una scossa per cercare di far riacquistare alla politica il concetto originario, quello affermatosi per la prima volta nella storia nella polis greca, che prevede l’organizzazione e la regolamentazione dell’essere-insieme di diversi e che identifica la politica con la libertà e non come fonte di arricchimento personale. La visione cristiana del mondo c’impone, non solo di sperare nella provvidenza, ma di operare perché si realizzi il progetto di anticipare già in terra il Regno dei cieli che Cristo ha inaugurato ponendovi “il germe e l’inizio”. Simile ottimismo è legato laicamente al concetto di politica connesso alla capacità di rinnovamento dell’umana libertà e spontaneità che è sempre capace di un nuovo inizio. Dice Hannah Arendt: “che l’uomo stesso, in maniera alquanto meravigliosa e misteriosa, sembra avere il talento di compiere miracoli … egli può sancire un nuovo inizio. Il miracolo della libertà è racchiuso in questo saper cominciare, che a sua volta è racchiuso nel dato di fatto che ogni uomo, in quanto per nascita è venuto al mondo che esisteva prima di lui, e che continuerà dopo di lui, è a sua volta un nuovo inizio”. Gli uomini quindi, finché possono agire nello spazio concesso loro dalla libertà, sono in grado di compiere quello che nel momento di crisi della politica può sembrare impensabile e imprevedibile. Solo partendo dal presupposto che la politica è la più nobile delle attività umane credo si possa cominciare a discutere sulle riforme necessarie per moralizzarla e far funzionare la nostra democrazia come i Padri della Repubblica l’avevano impostata nella Costituzione. Noi cattolici dobbiamo porci in prima fila per farlo. A differenza di coloro che scrissero la Costituzione della Repubblica e dei politici che gestirono i difficili anni del dopoguerra, i nostri attuali rappresentanti delle Istituzioni mi sembrano alquanto carenti di esperienza, nonché di cultura ed etica politica. E ciò vale anche per i pochi cattolici praticanti presenti nei partiti che certamente non si possano paragonare a quelli della prima Repubblica. Allora, dalla FUCI fino alle scuole di formazione sociali e politiche che raggiunsero il massimo della diffusione negli anni ottanta, i cattolici contribuirono a formare una classe politica nazionale ben preparata (un esempio, i professorini: Fanfani, Lazzati, La Pira e Moro). Oggi, essendo i cattolici poco e mal rappresentati nella gestione della cosa pubblica, la Chiesa viene coinvolta strumentalmente da una o l’atra parte solo per interessi elettorali. Credo sia giunto il momento di reagire e seguire l’incitamento del Santo Padre, del cardinale Bagnasco e di tanti Vescovi perché le nostre comunità parrocchiali e diocesane debbano adoperarsi costantemente, come c’insegnano i missionari, per migliorare la società in cui si vive. Il messaggio cristiano deve essere percepito anche a sostegno della vita materiale delle persone. Se così non fosse a cosa servirebbe la “Dottrina sociale della Chiesa”? Per fortuna non si parte da zero, già in alcune diocesi fervono iniziative per attuare l’auspicio del Papa sulla “nuova generazione di cattolici capaci di promuovere il bene comune”. Mi piace, a questo proposito, citarne una: quella recente dell’associazione “Convivium Camerinese” che, con il patrocinio dell’Istituto Luigi Sturzo, la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino e la partecipazione dell’Archidiocesi, ha istituito, in gemellaggio con l’Universitat de València, una Scuola Europea di Cultura Politica. Il primo anno accademico - iniziato il 10 ottobre scorso - prevede un ciclo di lezioni tenute da professori universitari, storici e personalità della cultura che si svolgeranno contemporaneamente a Camerino e a València fino al 9 giugno 2012. Desidero augurare all’amico Marco Bottacchiari, artefice del progetto, un’ottima riuscita del corso con la speranza che simili iniziative si diffondano rapidamente su tutto il territorio nazionale.

 

Gian Paolo Di Raimondo