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don Pino Pulcinelli

 
 
 

ANNALENA TONELLI 


 


 

Nata il 2 Aprile del 1943 a Forlì. Laureata in Giurisprudenza. Fin dall’adolescenza attiva in vari movimenti a servizio degli ultimi. Nel 1963 sostiene la fondazione del Comitato per la Lotta alla Fame. Incontra l’Abbè Pierre e Raoul de Follereau. Nel 1969 parte per L’Africa, prima come insegnante poi al servizio dei malati, degli handicappati e degli emarginati. In Somalia ha fondato scuole ed ospedali. Più volte derubata e maltratta dalla gente del posto, perché donna, cristiana in un paese musulmano. Annalena è stata uccisa a Borama il 5 ottobre 2003 con un colpo di fucile alla nuca da due sicari, mentre faceva il suo solito giro tra gli ammalati.

Riportiamo alcuni passi della testimonianza che Annalena ha reso in Vaticano il 1° Dicembre 2001 ad un convegno del Pontificio Consiglio della Pastorale per la Salute.


«Mi chiamo Annalena Tonelli … Lavoro in sanità da trent’anni, ma non sono un medico …
Scelsi di essere per gli altri: per i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati …Volevo solo seguire Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale anche se povera come un vero povero, i poveri di cui è piena ogni mia giornata, io non potrò essere mai.
Vivo a servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia. Sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane. Volevo essere tutta per Dio. (…)
La vita è sperare sempre, sperare contro ogni speranza, buttare alle spalle le nostre miserie, non guardare alle miserie degli altri, credere che Dio c’è e che è un Dio d’amore. Nulla ci turbi e sempre avanti con Dio. Forse non è facile, anzi può essere un impresa titanica credere così. In molti sensi è un tale buio la fede, questa fede che è prima di tutto dono e grazia e benedizione. Perché io e non tu? Perché io e non lei, non lui, non loro? Eppure la vita ha senso solo se si ama. Nulla ha senso al di fuori dell’amore.
La mia vita ha conosciuto tanti e poi tanti pericoli, ho rischiato la morte tante e poi tante volte. Sono stata per anni nel mezzo della guerra. Ho sperimentato nella carne dei miei, di quelli che amavo, dunque nella mia carne, la cattiveria dell’uomo, la sua perversità, la sua crudeltà, la sua iniquità.
E ne sono uscita con una convinzione incrollabile, che ciò che conta è solo amare. Se anche Dio non ci fosse, solo l’amore ha un senso, solo l’amore libera l’uomo da tutto ciò che lo rende schiavo, solo l’amore fa respirare, crescere, fiorire, solo l’amore fa sì che noi non abbiamo più paura di nulla, che noi porgiamo la guancia ancora non ferita allo scherno e alla battitura di chi ci colpisce perché non
sa quello che fa, che noi rischiamo la vita per i nostri amici; che tutto crediamo, tutto sopportiamo, tutto speriamo. (…)
Nulla mi importa veramente al di fuori di Dio, al di fuori di Gesù Cristo... I piccoli sì, i sofferenti... io impazzisco, perdo la testa per i brandelli di umanità ferita: più sono feriti, più sono maltrattati, disprezzati, senza voce, di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo.
Ai Somali molto ho dato. Dai Somali molto ho ricevuto. Il valore più grande che loro mi hanno donato, valore che ancora io non sono capace di vivere, è quello della famiglia allargata, per cui, almeno all’interno del clan, TUTTO viene condiviso. La porta è sempre spalancata ad accogliere
fino al più lontano membro del clan. La mensa è sempre condivisa. Quello che è stato preparato per dieci, sarà condiviso con la massima naturalezza con chiunque si presenterà alla porta. Non ci sono e non ci saranno recriminazioni, lamenti, vittimismi. È la cosa più naturale del mondo condividere con i fratelli. Nel mio mondo, a Borama, la piaga è la disoccupazione. Molta gente non ha mai lavorato nella sua vita perché non ha mai trovato un lavoro. Ed è così che quel “solo” che lavora si trova “costretto” a condividere con venti, trenta altri che non lavorano, il frutto della sua fatica. Ma lui non lo vive come una “costrizione”, lo vive con naturalezza. Laggiù condividere fa parte dell’esistenza. E poi quella loro preghiera cinque volte al giorno... l’interrompere qualsiasi cosa si stia facendo, anche la più importante, per dare tempo e spazio a Dio.
Ma il dono più straordinario, il dono per cui io ringrazierò Dio e loro in eterno e per sempre, è il dono dei miei nomadi del deserto. Mussulmani, loro mi hanno insegnato la Fede, l’abbandono
incondizionato, la resa a Dio, una resa che non ha nulla di fatalistico, una resa rocciosa e arroccata
in Dio, una resa che è Fiducia e Amore. I miei nomadi del deserto mi hanno insegnato a tutto fare, tutto incominciare, tutto operare nel nome di Dio. «BISMILLAHI RAHMANI RAHIM»... Nel nome di DIO Onnipotente e Misericordioso. (…)
Poi la vita mi ha insegnato che la mia fede senza l’Amore è inutile, che la mia religione cristiana non ha tanti e poi tanti comandamenti, ma ne ha uno solo; …che quell’Eucaristia che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario: «Questo è il mio corpo, fatto pane perché anche tu ti faccia pane sulla mensa degli uomini, perché, se tu non ti fai pane, non mangi un pane che ti salva, ma mangi la tua condanna». (…)
Vorrei aggiungere che i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro, e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha detto solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonare sempre.
I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel campo del servizio. Inventiamo... e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita.»