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don Pino Pulcinelli

 
 

VIAGGIO IN ARMENIA


Dal 4 al 12 agosto sono stato in Armenia con un viaggio organizzato dall’Opera Romana Pellegrinaggi. La spinta a visitare l’Armenia mi derivava dal desiderio di conoscere un paese fuori dal tempo, la terra in cui la tradizione biblica colloca il Giardino dell’Eden, in cui nelle giornate limpide – con un po’ di fantasia – si può perfino pensare di scorgere sull’Ararat la sagoma dell’Arca di Noè. E poi, da cristiano, ero curioso di visitare le vestigia dell’interessante forma artistica sacra ad uso liturgico che, con la conversione al cristianesimo dell’anno 301, il popolo armeno era riuscito ad esprimere. Il viaggio, in linea di massima, ha soddisfatto le personali aspettative dal punto di vista dell’arte: dell’espressione della cultura armena sia del periodo precristiano che di quello paleocristiano. Ho potuto constatare che veramente l’Armenia è il “paese delle pietre” e che nella pietra il popolo dell’Ararat ha fissato il proprio genio artistico nelle forme più caratteristiche ed originali. Soprattutto nell’architettura religiosa gli armeni hanno raggiunto risultati di ottimo livello fin dalle prime realizzazioni dopo la conversione al cristianesimo. Ne è risultato un patrimonio artistico dotato di grande omogeneità di stile, di materiali e tecniche di costruzione. Omogeneità fortemente voluta dagli armeni che, non potendosi riconoscere in una nazione politicamente stabile, vedevano nella Chiesa e nel rispetto della tradizione anche in campo artistico i fondamenti della loro identità culturale e nazionale. Le vicende politiche che hanno travagliato l’Armenia hanno fatto sì che il patrimonio architettonico, diviso fra stati differenti, avesse sorti diverse; maggior fortuna hanno avuto i monumenti che si trovano ora all’interno dei confini della repubblica d’Armenia. L’attaccamento dell’intero popolo armeno alla religione cristiana, dopo la conversione per opera degli Apostoli Taddeo e Bartolomeo, ha fatto sì che l’Armenia divenisse il primo stato cristiano al mondo (già nel 301 il re Tiridate proclamò il cristianesimo religione di stato). Il promotore di questo cambiamento che si è consolidato nei secoli successivi fu San Gregorio l’Illuminatore, figura prominente del cristianesimo armeno. La Chiesa armena fu aggregata inizialmente alla Chiesa metropolitana di Cesarea di Cappadocia. Non partecipa, poi, al concilio di Calcedonia (451) e non ne accetta (né rifiuta) le affermazioni. Viene accusata di accogliere il ‘monofisismo’, mentre, dopo studi più recenti, si parla di ‘miafisismo’: proclama le stesse verità di fede decretate a Calcedonia (anche se la terminologia è differente) e rivendica la propria autonomia. Nonostante le vicissitudini provocate dalle continue invasioni (persiani, bizantini, arabi e turchi), l’Armenia ha potuto mantenere la propria identità di popolo grazie alla sua religione e la sua lingua. Non è stata annullata dal genocidio perpetrato dai Turchi nel 1894-96 e nel 1915, né dall’invasione sovietica del 1920. Mi hanno raccontato che i sovietici si sono ben guardati dal combattere il cristianesimo del popolo armeno, ci hanno convissuto. La gente ha continuato a frequentare le chiese, a contrarre matrimoni religiosi e a rispettare, oltre che il potere politico, la gerarchia ecclesiale del Patriarcato. A questo punto, terminato il breve excursus storico/religioso, voglio parlare un po’ del viaggio che, anche se non ha deluso le mie aspettative, è risultato, per la poca esperienza su questo tipo di viaggi e la poca conoscenza del paese da parte del Tour Operator, molto faticoso, privo di un filo conduttore turistico/culturale e molto carente nella logistica. Ovviamente il paese non è ancora pronto dal punto di vista delle strutture necessarie per accogliere flussi turistici: i 70 anni di dominazione sovietica hanno lasciato il segno! Ci si accorge di ciò immediatamente all’arrivo all’aeroporto di Yerevan per i controlli esasperati che mi hanno richiamato alla mente quelli di Mosca del mio viaggio in Russia nel 1980. Poi, nel viaggiare per il paese, si è colpiti dalla desolazione delle fabbriche abbandonate dal regime che usava gli stati periferici dell’Unione per costruirci gli impianti industriali più inquinanti. Oggi ci si muove con difficoltà per la completa assenza di autogrill, motel, strutture di supporto logistico al viaggiatore. Nell’antichità, poiché l’Armenia costituiva il passaggio obbligato della via della seta, il paese era disseminato di caravanserragli della cui funzionalità ci si è completamente dimenticati e ormai al pellegrino non resta che “scendere in campo” (non come intende Berlusconi, ma Benigni). Per ultimo mi soffermerò sulle cose belle visitate: i monasteri. Nella loro austera bellezza, i monasteri e le chiese sono depositari dell’arte e della cultura nazionale e restano la principale attrazione del paese. Sono difficili da raggiungere perché arroccati su dirupi per la difesa dalle incursioni, ma una volta arrivati offrono uno spettacolo di tale intensità emotiva che ci si dimentica immediatamente della fatica. Dal monastero di Khor Virap del VII secolo che sorge proprio sulla fossa dove il re Trdat lasciò Gregorio l’Illuminatore – arrivato in Armenia per predicare il cristianesimo – per 13 anni, si può ammirare l’Ararat che oggi si trova appena oltre il confine con la Turchia. Il monte, simbolo dell’Armenia, fu regalato da Lenin ad Ataturk nel 1921 durante gli accordi fra i due paesi. Percorrendo l’Armenia in lungo e in largo, da ovest ad est e da sud a nord (dal confine con la Turchia a quello con l’Azerbaijan, dal confine con l’Iran a quello con la Georgia), ho visitato una decina di monasteri, tutti molto belli e ciascuno con una sua storia particolare e con chiese di varia architettura risalenti dal IV al VII secolo. Una particolarità che mi ha colpito è quella che le chiese contengono tante croci ma, quasi mai, un crocifisso: il Khatchar (croce fiorita)  simboleggia il Cristo risorto e glorioso, come la ‘crux gemmata’ di altre tradizioni cristiane. Quasi tutte le chiese da me visitate erano dedicate alla Madonna e sull’altare primeggiava un’iconografia della Vergine. Segno che la venerazione mariana, in quella cultura religiosa, sia molto radicata nella tradizione popolare.

Gian Paolo Di Raimondo