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don Pino Pulcinelli

 
 

La depressione è sempre in agguato


Nella vita moderna una brutta malattia dilaga in tutti i ceti sociali: è la depressione che in una società priva di saldi punti di riferimento trova il terreno adatto per diffondersi e difficilmente se ne può arrestare lo sviluppo. Posso parlarne con cognizione di causa in quanto diverse volte ho rischiato di esserne vittima. Solo il rifugiarmi nella fede e il rendermi conto che, nonostante tutto, continuavo ad essere circondato dall'amore della famiglia, hanno evitato la caduta nel baratro dello scoramento di quando prende corpo il dubbio sulla propria utilità. Il caso più pericoloso l'ho vissuto quando ho varcato la soglia della pensione, quando da un impegno di responsabilità a tempo pieno per una dozzina di ore al giorno sono passato alla forzata emarginazione dal mondo produttivo. Per fortuna la sensazione di essere diventato inutile per la società mi ha appena sfiorato: la garanzia di non aver perso l'amore di Dio e il rafforzato affetto della compagna della vita e dei figli mi hanno salvato dalla depressione. La fede non solo non è venuta meno, anzi si è alimentata di "opere" e quindi, come saggiamente affermava San Giacomo (Gc 2,14-26), si è rafforzata. Finito di lavorare per il benessere personale e della famiglia mi sono rivolto, nei limiti delle personali disponibilità fisiche ed economiche, ad aiutare i più bisognosi, gli ultimi. La Caritas è stata determinante per sviluppare l'attività assistenziale come segno dell'amore cristiano per il prossimo non disgiunto dalla dovuta rispondenza all'“agape” divino per l’umanità. Diverse altre volte mi si è ripresentato il rischio della depressione, che ritengo essere sempre in agguato nei momenti in cui perdiamo la fiducia in noi stessi e siamo costretti a superare le difficili vicissitudini della vita in assenza di uno scopo, ma il metodo di prevenzione ormai collaudato ha sempre funzionato. E ritengo possa funzionare allo stesso modo anche per i non credenti, l'essenziale è riappropriarsi dei valori che rappresentano il fine per cui è giustificato, anzi necessario, vivere, in qualsiasi momento e stagione della nostra esistenza. Per noi cristiani questo è scritto tutto nei Vangeli: mettendo al primo posto l'amore, come c'insegna Gesù di Nazaret, ogni uomo è importante per la legge divina; prima ci sono le persone e poi la legge che deve essere al servizio delle persone stesse e del loro bene: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!" (Mc 2,27). Per il cattolicesimo l'uomo è tanto importante che il Concilio Vaticano II ha stabilito che il miglior sistema per cercare Dio è farlo attraverso l'uomo, con la teologia antropologica (Karl Rahner). Pierluigi Di Piazza nel suo ultimo libro "Fuori dal Tempio" (Editori Laterza) descrive molto bene come Gesù di Nazareth ponga costantemente l'uomo alla base del suo ammaestramento considerandolo suo fratello e dandogli la possibilità di rivolgersi a Dio con semplicità, affetto, confidenza e fiducia come ad un Padre. Mi piace riportare questo brano del libro: "Mi affascina il comportamento di Gesù nei confronti della gente comune, della gente del popolo, disprezzata dalle classi dirigenti: dai notabili, dai maestri delle leggi (gli scribi), dai farisei, dalla classe sacerdotale, Gesù è un laico, non un sacerdote; non è un rabbino diplomato ad una qualche scuola, ma il suo insegnamento è autorevole perché gli proviene dalla sua profondità interiore. Sta in mezzo alla gente e insegna: non una dottrina, bensì un modo di essere e di sentire, una sensibilità ed un orientamento di fondo. ... La verifica della fede nel Dio che Gesù con la sua persona ci rivela nella storia, non è la coscienza esatta e la trasmissione ortodossa di una dottrina, né l'adempimento formalmente ineccepibile dei riti religiosi: è soccorrere, mossi dalla compassione, un uomo sconosciuto, ferito e gemente sul ciglio della strada (Lc 10, 25-37)". Per evitare la depressione sono certo che basti essere un po' “buoni samaritani”. Consiglio a chiunque si trovi ad affrontare la lotta con questo brutto male di far riferimento al nostro Dio, fattosi uomo per voler condividere con l’umanità le vicissitudini e il dolore fino alla morte e rassicurarci, con la risurrezione, che esiste per tutti la possibilità di superare la fine terrestre ed entrare nel “Regno” celeste. In noi che crediamo, il Cristo deve essere l’icona a cui rivolgerci, anche e soprattutto se peccatori, per superare le difficoltà della vita e per ottenere ristoro: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-30). Gesù incontrava tutti e per tutti si disponeva all’ascolto; Egli, radicale nella proposta e nelle esigenze, è stato sempre attento e premuroso nei confronti della fragilità delle persone. Sono assolutamente certo che lo sia tuttora!

Gian Paolo Di Raimondo