IL DOPO CORONAVIRUS

 

 

Questo è già oggi un posto di lavoro multiplo in un ufficio che pratica lo smart working

 

«C’è gente che da adesso incomincia a pensare al dopo: al dopo pandemia. A tutti i problemi che arriveranno: problemi di povertà, di lavoro, di fame … Preghiamo per tutta la gente che aiuta oggi, ma pensa anche al domani, per aiutare tutti noi». (Papa Francesco 3 aprile 2020)

 

Per la metropoli lombarda è il momento del coraggio. Il coraggio di aspettare con responsabilità che passi la fase critica e allo stesso tempo di elaborare una ripresa. È il messaggio di alcuni dei protagonisti in ogni campo, dall’economia alla moda, dalla musica all’arte. Nonostante le preoccupazioni economiche per la sospensione delle attività, lo spirito dinamico della città si riflette nell’elaborazione di idee per stare insieme (e insieme ripartire appena sarà possibile)

 

 

 

Anch’io stavolta voglio rivolgere lo sguardo al dopo Coronavirus Covid-19. Tanti saranno i problemi che nasceranno quando sarà passata questa brutta esperienza, a partire da quelli enormi evidenziati con un grido d’allarme da papa Francesco. Vorrei tentare quindi di individuare il nuovo che ci si presentera cui dovremo abituarci e con il quale dovremo convivere. Mi limiterò ad analizzare alcune delle novità che coinvolgeranno noi cittadini, come il rapporto interpersonale, il lavoro e azzarderò, con l’ausilio di persone più esperte di me, la previsione di come sarà necessario modificare il governo della cosa pubblica. Non accennerò minimamente ai problemi economici e di disoccupazione per i quali, data la gravità e la complessità delle soluzioni, meritano un trattamento particolare ad hoc.

Gli specialisti, dalla conoscenza acquisita sul virus e dalla pratica fatta sulle conseguenze del contagio, sono convinti che ci dovremo convivere almeno fino a quando non avremo il vaccino o la cura, quindi ancora per diversi mesi. Questo protrarsi dell’isolamento e, nel migliore dei casi comunque, del distanziamento fisico provocherà certamente l’applicazione di un nuovo modello di rapporto interpersonale: per noi tutti che abbiamo fatto della socializzazione l’elemento principale della nostra vita, ciò potrebbe incidere negativamente anche a livello psicologico. Speriamo che ciò non avvenga.

Per quanto riguarda il lavoro, quando finalmente torneremo alla normalità, si continuerà ad utilizzare in maniera massiva lo smart working (lavoro agile) che ha preso vigore in questo periodo di quarantena forzata. Infatti prima era utilizzato solo da qualche azienda, per la verità poche, anche se ricordo che già all’inizio degli anni sessanta l’Olivetti nelle sue filiali di vendita utilizzava un sistema quasi analogo (evidentemente con la tecnologia a disposizione a quei tempi) allo smart working di oggi; i venditori delle macchine da scrivere portatili (vedi la Lettera 22) avevano in ufficio una postazione multipla di lavoro con solo un telefono personale, non dovevano rispettare orario (non timbravano il cartellino) e quindi erano giudicati sul rispetto del budget assegnato. Già allora l’azienda applicava a quel tipo di lavoratori la regola d’oro dell’attuale “lavoro agile”: riconoscere ai dipendenti fiducia, responsabilità e autonomia. Ma ciò derivava dalla lungimiranza di Adriano Olivetti. In questa sede vorrei precisare e fare chiarezza sullo smart working, poiché nel periodo della pandemia attuale viene usato esclusivamente da casa, ma questa è una delle diverse modalità d’uso, esso ha un ben più ampio fine, quello di connettere persone, spazi e business. Si può dire che smaterializza il luogo e l’orario di lavoro e quindi si può utilizzare ovunque. Un’altra forma di attività fatta a distanza imposta dall’isolamento forzato è quella dell’istruzione per via telematica. Sono sicuro che anche questo modo di operare si svilupperà notevolmente in futuro nelle scuole e università poiché il Ministero e le organizzazioni private si renderanno conto, per averlo fatto in termini sperimentali durante la pandemia, che alcune attività formative possono essere fatte usando sistemi e-learning perché danno notevoli vantaggi economici, gestionali, nonché ambientali. Certamente ha ragione Marco Bentivogli quando dice: “L'epidemia ha portato alla luce cambiamenti che erano già in atto da anni, come lo smart working, che slega la produttività dalla presenza fisica. Ma l'Italia li scopre solo adesso. Abbiamo bisogno di una classe dirigente che anticipi le trasformazioni e non le cavalchi solo quando ci sono calamità”. Parole sante.

Nell’affrontare il capitolo della modifica del modo di governare il Paese, ciò che riferisco all’Italia vale per tutto il mondo. Per spiegare meglio il mio pensiero racconterò casi realmente accaduti. Come ha fatto giustamente notare il Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, già nel 1630 la città di Roma si salvò dalla peste manzoniana isolando la città e impedendo alla gente infetta proveniente dal Nord di entrarvi. Ancora oggi l’unico mezzo valido per combattere il Covid-19 è l’isolamento applicato su scala nazionale e addirittura internazionale. Faccio notare, per evidenziare il progresso che nel frattempo abbiamo raggiunto in altri campi, che nel 1633 veniva condannato Galileo Galilei per eresia perché aveva abbracciato la teoria copernicana (sistema eliocentrico) che sosteneva che la terra girasse intorno al sole e non il sole intorno alla terra. Ne abbiamo fatto di strada o no? Siamo arrivati sulla luna e facciamo spesso passeggiate nello spazio. Di investimenti ne abbiamo fatti di cattivi e anche di buoni: nel primo caso per esempio, quelli fatti per gli armamenti, per arrivare a costruire missili a lunga gittata; nel secondo, quelli per le telecomunicazioni, siamo arrivati a fare video-chiacchierate con Luca Parmitano mentre è in orbita nello spazio. Ma per combattere le famiglie di virus che periodicamente colpiscono l’umanità, niente o quasi. Nel frattempo, mentre nel mondo non si investiva sufficientemente nella ricerca scientifica nella medicina se non per scoprire farmaci a rendimento economico immediato, in Italia con acuta lungimiranza (!) si chiudeva pure la cattedra universitaria di virologia facendola confluire nella specializzazione in microbiologia, e si chiudevano pure centinaia di ospedali periferici. Dopo la dolorosa esperienza vissuta, è chiaro che dobbiamo rivedere in questo campo tutto, modificando in particolar modo la scala delle priorità negli investimenti. Spetterà ai nostri figli e nipoti farlo.

Chiudo con il manifesto in versione integrale pubblicato a Milano da 11 uomini e donne della cultura e dell’impresa di cui ho accennato in apertura.

Coronavirus e Milano, fermarsi e progettare il domani. Per la metropoli lombarda è il momento del coraggio. Il coraggio di aspettare con responsabilità che passi la fase critica e allo stesso tempo di elaborare una ripresa. È il messaggio di alcuni dei protagonisti di ogni campo, dall’economia alla moda, dalla musica all’arte. Nonostante le preoccupazioni economiche per la sospensione delle attività, lo spirito dinamico della città si riflette nell’elaborazione di idee per stare insieme (e insieme ripartire appena sarà possibile)

(a cura di Alessio Lana, Arianna Ravelli, Silvia Nani, Alessandro Beretta, Andrea Laffranchi, Matteo Cruccu, Monica Colombo, Flavio Vanetti, Gaia Piccardi, Livia Grossi, Laura Zangarini)

Gian Paolo Di Raimondo – Roma, 15 aprile 2020