LA PAURA PROVOCATA DAL CORONAVIRUS

 

 

 

Sono vicino con la preghiera alle persone che soffrono per l’attuale epidemia di coronavirus e a tutti coloro che se ne prendono cura.  Mi unisco ai miei fratelli Vescovi nell’incoraggiare i fedeli a vivere questo momento difficile con la forza della fede, la certezza della speranza e il fervore della carità. Il tempo di Quaresima ci aiuti a dare tutti un senso evangelico anche a questo momento di prova e di dolore” (Papa Francesco)

 

 

Non mi son sentito di far passare questo brutto periodo, da alcuni chiamato “apocalisse”, senza riprendere a scrivere il mio pensiero al riguardo su questa rubrica da me utilizzata per tanti anni con dedizione e amore. Oltre a qualche considerazione generale, voglio analizzare soprattutto i risvolti sociali e familiari che questa malattia infettiva epidemica - ormai dichiarata dall’OMS pandemia - comporta.

La nuova infezione arrivata dalla Cina, che di fatto ha divulgato la notizia con notevole ritardo, ha trovato impreparato anche il nostro personale scientifico. Infatti molti di loro l’hanno identificata in modo contraddittorio: chi l’ha definita “non è la peste del secolo, il coronavirus è poco più importante di un’influenza” e chi invece l’ha giudicata derivante da “un virus molto contagioso e pericoloso, perché manda un sacco di persone nei reparti di terapia intensiva … bisogna fare di tutto per ostacolarne la diffusione, anche se costa qualche sacrificio”. Le due versioni sono di due esperti virologi... La stessa poca precisione nel giudicare la pericolosità del virus è stata seguita dalla politica e dalle Istituzioni. Oggi, solo dopo tre mesi, si è quasi stabilizzata la strategia per limitarne la diffusione. Eureka! Meglio tardi che mai!

Con il Dpcm del 9 marzo 2020 il Governo ha esteso il provvedimento di restrizioni per contenere il contagio del coronavirus già preso per le zone rosse (Lombardia e 14 provincie del Nord) a tutta l’Italia. Queste norme stanno cambiando e cambieranno ancor di più la vita a tutti noi.

Io non credo di essere diverso dalla globalità degli esseri umani della mia età e quindi, se racconto quello che sto vivendo personalmente in termini di privazione di affetto e socialità in questi pochi giorni d’isolamento forzato più che giustificato, sono certo che anche il resto dei miei coetanei soffrirà i disagi che mi accingo a descrivere. Pertanto, come la maggioranza di esperti psicologi e sociologi, penso che questo tipo di rinunce porterà a conseguenze piuttosto dannose della psiche e dei rapporti sociali. Sciaguratamente negli ultimi anni spesso siamo incorsi nella diffusione della paura, ricordiamone alcune: la paura degli attentati terroristici, dello straniero pericoloso, l’emergenza meteo con i cambiamenti climatici. Purtroppo la paura favorisce la chiusura nei confronti dell’altro e peggiora i rapporti interpersonali, e ciò non è bene. Forse giova, a questo punto, leggere la valutazione di questa pandemia di un esperto dei comportamenti umani. Il sociologo del Cnr Mattia Vitiello pensa che creare il panico produce la voglia di ordine, il desiderio della normalità. Crede, quindi, che occorra rinunciare alla paura come metodo di governo. Ecco la parte della sua intervista riguardante il coronavirus: «In questa situazione italiana piena di paradossi, quelli che prima rischiavano l’emarginazione, perché impaurivano, oggi sono scomparsi dalla scena. Penso agli immigrati che fino a due settimane fa sembravano essere l’origine di tutti i mali italiani e che alcuni politici volevano rappresentare come untori anche per il coronavirus, portato dai barconi sulle coste italiane. Oggi sappiamo che il coronavirus è arrivato in Italia con un aereo, viaggiando in prima classe e portato da un italiano. Inoltre, proprio la parte d’Italia più ricca ed orgogliosa, che si pensava guida e faro d’Italia si è scoperta fragile. Infine, questo coronavirus ha dimostrato quanto sia importante per una società avanzata una struttura sanitaria pubblica e capillare sul territorio, in cui medici e infermieri italiani della Sanità pubblica lavorino perseguendo l’obiettivo comune del benessere e non quello dello stipendio sicuro, come tanta retorica antistatalista ha raccontato negli ultimi anni. Oggi abbiamo la possibilità di emarginare la paura e l’egoismo per costruire una collettività italiana fondata sulla solidarietà».

Ma ora veniamo alle ripercussioni dell’isolamento sulla mia vita personale. Anch’io, come la globalità degli esseri umani, soffro dell’insopprimibile bisogno di affetto e di socialità. Ho addirittura la necessità di toccare fisicamente le persone che fanno parte del mio giro di amicizie e di abbracciare e baciare coloro che amo. L’isolamento che il Governo e soprattutto le figlie hanno costretto me e mia moglie per proteggerci dal contagio che per noi sarebbe fatale, ci addolora e deprime entrambi. Non poter festeggiare con la famiglia allargata (10 persone) il mio ottantaquattresimo compleanno è stata la più grande punizione inflittami dal coronavirus; il non poter accogliere in casa la vitalità dei miei quattro nipoti è stato il peggio. Quando ne verremo fuori, e ciò avverrà se va bene fra qualche mese, non c’è dubbio che, come asserito dalle varie discipline psicologiche, quest’evento lascerà un segno. C’è il rischio che si ripercuota anche sui rapporti con il coniuge. E’ noto che, mancando ogni rapporto sociale e, vivendo ventiquattro ore su ventiquattro si rischia che anche i legami familiari più solidi si deteriorino... Speriamo che passi presto!

 

Gian Paolo Di Raimondo – Roma 15 marzo 2020