IL SANGUE TRASFUSO E’ VITA

 

 

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31

Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33

Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. 34

Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35

Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36

Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». 37

Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso». (Lc 10, 30-37)

 

 

 

 

“Gesù stesso è la compassione del Padre verso di noi, non lasciamoci trascinare dall’insensibilità egoistica. Gesù, propone come modello il samaritano, che amando il fratello come se stesso, dimostra di amare Dio con tutto il cuore e con tutte le forze, ed esprime nello stesso tempo vera religiosità e piena umanità”. (Papa Francesco)

Ho già scritto sulla donazione degli organi, ora voglio dedicarmi alla donazione del sangue, ma stavolta la mia riflessione è rivolta principalmente dalla parte del ricevente perché sono reduce da ben quattro trasfusioni che mi hanno fatto riprendere da una forte anemia causata da un’emorragia interna che stava già creando problemi al cuore. Stavo morendo, il sangue immesso nelle mie vene mi ha ridato la vita. Così posso vedere l’argomento della donazione del sangue con un’ottica nuova. Ritengo opportuno però iniziare ancora dai donatori. Ero in clinica domenica 14 luglio quando il Papa spiegava in TV la parabola del “buon Samaritano” e così mi è venuto spontaneo paragonare il donatore di sangue al protagonista evangelico. Gesù con quel racconto ci ha insegnato che non dobbiamo stabilire chi è il nostro prossimo operando delle scelte, ma ci dobbiamo fare “prossimo” di chi ha bisogno di aiuto senza badare chi sia a beneficiarne (il Samaritano era addirittura nemico degli Ebrei). Chi dona il sangue, infatti, non sa chi ne avrà bisogno e utilizzerà il suo sangue e così ottempera pienamente a ciò che Cristo ci ha indicato di fare (Va’ e anche tu fa’ lo stesso). Anche nella donazione di organi da vivente c’è qualche “samaritano”, sono molti pochi invero, ma ci sono e meritano per me il massimo onore, anche se alcuni non ritengono tale donazione da praticarsi, come il dr. Ignazio Marino: “Negli Usa mi sono sempre rifiutato di eseguire trapianti da donatori samaritani, che comunque venivano effettuati, pur di rado, negli istituti che ho diretto. Ho invece sempre sostenuto, eseguito e incentivato i trapianti da donatori viventi legati da vincoli di affetto. Non sono convinto che sia giusto sottoporre una persona non legata da vincoli affettivi al rischio di un intervento chirurgico. Non arriverei a proibirli ma non mi convincono‚ come percorso etico‚ come soluzione alla drammatica lunghezza delle liste d'attesa, soprattutto nel caso del trapianto di rene”. Per quanto riguarda la donazione di sangue, i donatori sono la maggior parte “samaritani” e per la pace di Marino non rischiano nulla.

Ma veniamo alla mia esperienza sulla trasfusione subita.

Domenica 7 luglio scorso sono stato ricoverato in clinica per una forte emorragia interna che aveva portato i valori ematici a livelli di gravissima anemia con rischio di sofferenza cardiaca imminente. L’unica soluzione possibile era l’intervento trasfusionale. Per mia fortuna la richiesta urgente di sangue fatta dalla clinica è stata esaudita in poco più di un’ora e così si è potuto iniziare la prima trasfusione che mi ha ridato la possibilità di riprendere un po’ di forze, ma soprattutto, evitare complicazioni cardiache. Nelle ore successive ne sono seguite altre tre. Quando vedevo scendere dalla sacca di sangue, donato da chissà chi, le gocce di quel liquido rosso che entrava nella mia vena, pensavo proprio all’uomo o donna che quella sacca l’aveva riempita con il proprio sangue, all’atto d’amore che aveva fatto per me, proprio per me senza nemmeno conoscermi. E’ stata una riflessione che mi ha seguito per tutto il tempo delle trasfusioni. E questo tipo di meditazione tra me e me, mi dava serenità, alimentava la certezza che ce l’avrei fatta a superare la crisi perché esaltava la bontà e l’amore che, nonostante tutto, legava l’umanità. Oltre alle persone care che mi stavano vicine e mi sostenevano con il loro affetto, c’era anche qualcuno, chissà dove, che aveva donato fisicamente una parte di sé per salvare una vita umana, in questo caso proprio me. Questo pensiero positivo sull’amore diffuso tra la gente, sull’amore di Dio che s’irradia sull’umanità, come sostiene sempre papa Francesco, sono convinto abbia contribuito – senz’altro psicologicamente – a farmi superare le crisi. Il sangue poi ha fatto fisicamente la parte principale.

Mi piace chiudere con una riflessione sull’amore per il prossimo che scaturisce dalla fede, fatta dalla Chiesa Evangelica Valdese, per dimostrare come su questi concetti basilari della nostra religione cristiana non ci siano differenze, anzi …

«Non posso dare se prima non ho ricevuto. Non posso amare il prossimo se prima non sono amato da Dio. Non posso prelevare a favore degli altri dal conto dell'amore se prima lo Spirito non mi ha aperto il conto con tutti i suoi doni. La fede è l'atto con cui riceviamo; è la scoperta che lo Spirito ha fatto scaturire una fonte a cui possiamo attingere. è l'atto con cui, come dice Lutero, afferriamo Cristo che si dona a noi; non abbiamo alcun potere per farlo venire, contiamo solo sul fatto che, per grazia di Dio, egli è presente. E se è presente, la vita nuova è possibile. La fede trasmette all'amore l'energia che proviene da questa certezza, e l'amore può allora portare i suoi frutti. Se amo, compio semplicemente il mio servizio e, mentre lo compio, sento che la fede mi sostiene. Se amo, capisco di che cosa ha bisogno la persona del prossimo (un aiuto materiale, un conforto morale, una critica, un incoraggiamento) e cerco di darglielo senza umiliarla, senza renderla dipendente da me, ma al contrario rispettando la sua dignità, dandole fiducia. Mentre agisco mi affido al Signore, perché io possa veramente capire, intervenire in modo giusto, rispettare, aiutare a crescere. Questo affidarsi al Signore, prima, durante e dopo l'azione, è la fede» (https://www.chiesavaldese.org/aria_cms.php?page=8).

 

Gian Paolo Di Raimondo – Roma 1 agosto 2019