Home Staff Links Ricerca 

don Pino Pulcinelli

 
 
 

Oscar Romero


Perché ho deciso di dare un mio modesto contributo per ricordare Oscar Romero? Essenzialmente perché a marzo ricorre il trentunesimo anniversario della sua morte. Potremmo dire del suo martirio, visto che autorevoli figure del cattolicesimo – da Giovanni Paolo II al cardinale Martini, da padre Sorge a monsignor Paglia (postulatore della causa di beatificazione aperta fin dal 1997) – da anni lo considerano martire della Chiesa. Ormai gli anglicani, i luterani e i veterocattolici lo commemorano come martire il 24 marzo, giorno in cui monsignor Romero veniva ammazzato, mentre celebrava la messa nella cappella dell’hospedalito, dagli squadroni della morte armati dai latifondisti che lo hanno voluto punire per essere diventato amico dei poveri, la voce più coraggiosa che denunciava le atroci violenze subite dai campesinos, dagli operai, dagli stessi preti, dalle donne che stavano dalla parte del popolo. Ma soprattutto è la gente, milioni di persone anche fuori dei confini del Centro America, che lo venera già santo. Accanto alla tomba dell’arcivescovo – racconta monsignor Paglia – è stato dipinto un affresco che raffigura tre personaggi considerati santi dal popolo salvadoregno: madre Teresa di Calcutta, papa Wojtyla e Oscar Romero. Mentre per i primi due la beatificazione è arrivata (Giovanni Paolo II sarà proclamato beato il prossimo primo maggio), per Romero il processo della Santa Sede continua ormai da 14 anni secondo le regole canoniche, per le titubanze della parte conservatrice della gerarchia ecclesiastica. Speriamo che anche gli oppositori si convincano presto della sua testimonianza e tengano conto della genuina venerazione della gente per far giungere il processo alla inevitabile conclusione positiva. In occasione della ricorrenza di marzo è uscito il terzo libro di Ettore Masina sulla biografia di Monsignor Romero (“L’arcivescovo deve morire” editore Il Margine); l’autore, da laico, è stato così coinvolto dalla sua storia che ha continuato a scriverla per la terza volta. Mi piace riportare le prime parole con cui il giornalista inizia il racconto: “Vi sono storie che ti abbracciano così stretto che non riesci più a dimenticarle. Capita a tutti, penso, ma certamente più spesso a noi giornalisti, perché noi di storie viviamo. Queste storie non riesci a dimenticarle, neppure quando ne hai altre da scrivere. Tornano e ritornano, magari di notte, esigono attenzione e sanno esattamente quale sia il sogno nel quale irrompere. Finché non ti arrendi e non ricominci a scriverle, magari per l’ennesima volta”. Monsignor Nogaro nella prefazione del libro delinea in termini cristiani la storia di un uomo che è vissuto mettendo in pratica il Vangelo. Romero per Nogaro “sente la vocazione di dare la vita a Cristo” e aggiunge “bellissimo e inequivocabile in lui, fin dagli inizi della sua missione, è l’amore appassionato e incondizionato degli ultimi”. Leggendo la sua storia s’intuisce come l’elemento scatenante che in Romero ha accelerato la sua missione evangelica in favore delle persone che soffrono le angherie dei potenti è stato l’assassinio del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime; subito Romero apre un’inchiesta sul delitto e ordina la chiusura di scuole e collegi per tre giorni consecutivi. Da quel momento inizia la sua azione di accusa del potere politico e giudiziario di El Salvador che lo porterà alla morte il 24 marzo 1980. Prima di elevare il Calice dell’Eucarestia e quindi un attimo prima di essere assassinato, le sue ultime parole sono ancora una volta rivolte alla giustizia: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza”. Voglio concludere nel far rilevare un semplice, ma per me importantissimo recente fatto, quasi del tutto ignorato dai media, che dimostra quanto Oscar Romero goda di fama e affetto in tutto il mondo, dalle persone umili a quelle più potenti (coloro che usano il proprio potere per migliorare la vita del genere umano). Il presidente degli Stati Uniti d’America, pur costretto ad accorciare la visita all’estero a causa dell’attuale difficile gestione della crisi scoppiata in Libia, ha trovato il tempo per rendere omaggio il 23 marzo scorso alla tomba di monsignor Romero. Penso che Obama abbia compiuto veramente un atto di portata storica per il riconoscimento laico di un martire morto per la libertà, la giustizia e la pace.

Gian Paolo Di Raimondo
Roma, 31 marzo 2011