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don Pino Pulcinelli

 
 
 

Ancora sulla guerra



Non è trascorso molto tempo da quando ho scritto l’ultimo articolo contro la guerra con la denuncia della sua inutilità, qualunque siano le giustificazioni addotte da coloro che ne traggono un qualche beneficio, per esempio i fabbricanti di armi e i politici loro amici. Credo che non si possa pensare che sulla guerra si sia detto tutto e quindi ritenere inutile ripetere concetti che esaltano la pace. Lo spunto per tornare sull’argomento me lo ha dato la notizia, giuntaci proprio alla fine di un anno che purtroppo ha coinvolto pesantemente anche il nostro paese in azioni belligeranti, della perdita del trentacinquesimo soldato italiano deceduto in Afghanistan – quest’anno è stato l’anno più nero per i nostri militari con 13 vittime – tutte queste giovani vite vengono spezzate, pensate un po’, perché “impegnati in missioni di pace”. Come si può continuare ad usare la parola pace indebitamente quando la costante conseguenza di simili missioni è la morte? Ma cosa si aspetta a porre fine a questo massacro? E’ proprio vero ciò che pensava Platone: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra”. Anche noi cristiani continuiamo a disattendere l’annuncio di pace fatto ai pastori la notte di Natale: parliamo sempre di pace, forse anche troppo, ma non abbiamo ancora capito ciò che la Chiesa, attraverso i suoi Pontefici, ripete da 44 anni (tante sono le “giornate mondiali della pace”che si susseguono dal 1968). E cioè che per raggiungere un minimo di pacificazione universale non bastano le parole ma, oltre all’impegno necessario dei responsabili delle nazioni, ogni persona deve essere animata dal sentimento di pace nelle quotidiane relazioni umane. Non si può sperare nella pace nel mondo se essa non pervade il nostro stile di vita. Tutte le guerre sono odiose e inutili, ma una è più odiosa e incoerente ed è la guerra di religione che, purtroppo in questo periodo storico, è tornata ad insanguinare il mondo. Sembra quasi che l’umanità non riesca a vivere in assenza di conflitti e, quando terminano quelli epocali tra le nazioni come gli ultimi due definiti mondiali, rispuntino le guerre di religione. Le grandi religioni dovrebbero contribuire al raggiungimento della pace tra gli uomini in quanto il cammino verso la salvezza eterna non può realizzarsi nell’odio fra i fratelli in Dio; purtroppo gli uomini di fede interpretano a secondo della loro convenienza i riferimenti alla guerra contenuti nelle proprie antiche sacre scritture - strettamente legate al tempo in cui furono scritte - per giustificare i peggiori interessi espansionistici, di odio razziale e di sopraffazione del “diverso”. Ne sono la prova i recenti attentati islamici di natura terroristica alle comunità cristiane in Iraq, India, Pakistan ed Egitto. Per noi cristiani, accettare un’eccezione al quinto comandamento per alcuni tipi di guerra, è doppiamente un peccato ed un crimine, in quanto la cultura della non violenza affonda le sue radici sul calvario. Don Primo Mazzolari asseriva che “Sul calvario viene raggiunta la perfetta somiglianza tra il Figlio dell’uomo e il Figlio di Dio, perché Cristo ha rinunciato a difendersi contro l’uomo, senza rinunciare a testimoniare per la verità e la giustizia”. Chi accetta la necessità della guerra, si schioda dalla croce non potendone sopportare l’impotenza del fare giustizia. “Se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce …”. Nel Vangelo non c’è alcun cenno di giustificazione della guerra né tantomeno un qualsiasi incitamento a guerre sante. Ci sono invece molti richiami alla pace e alla nonviolenza: dal sermone delle beatitudini, “Beati  gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9), per arrivare al massimo dell’anticonformismo / rivoluzionario, come considerò Pasolini – quando girava il suo “Vangelo secondo Matteo” – queste parole di  Cristo dette nel particolare momento storico in cui viveva: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra …” (Mt  5,39). In un mondo che conosce ancor oggi troppe guerre, troppi conflitti che portano con sé odio, sofferenza e morte, almeno la Chiesa, la Moschea e la Sinagoga siano luoghi nei quali dialogare per esercitare la pace. Ma forse questa è un’utopia …

Gian Paolo Di Raimondo (02.01.2011)